Outer Festival 2020

Ci sono poche cose che mi piacciono come la provincia. Già, da cittadino egoista nato e vissuto in un centro storico, figlio del cemento e del capitalismo, andare fuori dai centri urbani è come cambiare completamente prospettiva del mondo. Ti ripetono fin da piccolo di viaggiare, viaggiare, viaggiare, viaggiare. Ce lo dicono, ce lo ripetono, lo sostengono e dopo un pò, se non viaggi troppo, ti senti anche in colpa. Prendere la macchina e uscire 20 km dal tuo centro abitato però ha il poter di riconciliarti con il concetto del viaggio molto più di prendere un aereo e attraversare il mondo. È freddo, siamo nel 2020 e tutti conosciamo la situazione in cui siamo; l’Outer Festival è una realtà come ce ne sono tantissime in Italia e come spesso accade nella situazione contemporanea rischiano di sparire o essere travolti definitivamente senza aver la possibilità di esistere più. Esserci è importante, farlo bene – tenendo conto di ogni dettaglio – è davvero qualcosa di complesso e speciale.

Outer Festival 2020

Panzano è una frazione di Castelfranco Emilia, secondo i dati in mio possesso e alla portata di tutti grazie ai motori di ricerca digitali, 145 anime abitano in questo territorio. A Panzano fa un gran freddo, c’è una trattoria sempre piena da qui ai prossimi mesi e puoi trovare il Castello Malvasia, che detiene al suo interno una delle collezioni di auto antiche fra le più importanti a livello mondiale. Per arrivare a Panzano devi passare per una strada molto stretta, molto buia, lunga circa 3.5km dove due macchine non possono passare. Però Panzano è bella, ci sono i cartelli per l’attraversamento dei cavalli, c’è molta terra – quella verace Emiliana – e silenzio. Lo dico spesso, qualcuno mi prende per il culo, quando passi da un luogo di potere, c’è sempre un grande silenzio. L’Outer Festival si svolge all’interno della Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo di Panzano, stile architettonico Romanico, decorazioni ricche e fastose, poi chiaramente ci sono altri dettagli tecnici che non ho la posizione per spiegare, però la profondità che danno le luci rende questo spazio piuttosto ampio e in grado di dare respiro a tutti coloro che – tenendo il distanziamento eccetera eccetera – hanno avuto la fortuna di prenotare il proprio posto prima del sold-out annunciato in 24 ore. Le chiese di solito sono così, quando sei da solo ti stringono per il collo e ti fanno sentire continuamente in colpa, quando invece sono popolate senti semplicemente paura. Gli eventi culturali in chiesa solitamente mi danno molto fastidio, non mi fanno respirare però in questo caso, sarà Panzano, sarà l’atmosfera, si sta tranquilli. Come se non ci fosse niente di sacro ma una serie di sinergie profane in grado di far scendere l’alto a contatto con le sensazioni che ha ognuno di noi. Ma questo penso sia merito della provincia, della terra verace Emiliana, di Panzano.

Outer Festival 2020

La Line-up vede un dj set esterno di Billy Bogus che trovo assolutamente pertinente con l’atmosfera e clamorosamente di buon gusto; prosegue al suo interno con un live set di Daykoda molto colorato su scali cromatica grigia e versatile, intimo e quasi profondo. Ho apprezzato molto, lui è un pò che prosegue il suo percorso con produzioni degne di nota, davvero meritevole. A un certo punto fuori Ericailcane, noto artista? street artist? scultore? come diavolo bisogna definirlo senza che poi nessuno si incazzi? insomma, all’esterno dipingeva mentre all’interno le note di Giovanni Di Domenico accompagnavano. Oppure viceversa. Però era tutto molto coordinato, piacevole, diluito e in grado di sciogliersi, come se alla fine, nonostante la temperatura climatica, ci fosse un motivo chimico per scaldarsi sul serio. A chiudere il live di Gigi Masin, che completa a colpi di orgasmi femminili questa discesa del sacro alla portata di tutti, scelta giusta, nemmeno audace, piuttosto coerente ed azzeccata.

Ho smesso di credere che scrivendo un live report di un evento culturale si fosse in grado di restituire qualcosa alle persone che non hanno potuto partecipare. Non ci credo e forse all’epoca ero solito mettermi qui con la sola ambizione di avere qualche accredito per altri eventi, come d’altronde fanno in molti grazie alla scusa della “copertura stampa”.  L’atto politico, culturale e sociale, di andare avanti, nonostante la situazione e in un luogo come Panzano ci deve rendere tutti più consapevoli di una serie svariata di considerazioni, che suoneranno come un manifesto ma ho deciso di sintetizzarle così – almeno non siete tenuti a leggere tutto quello che ho scritto sopra 

  1. Outer Festival è una realtà necessaria, nel suo piccolo, per come produce le cose e per la cura che ci mette nel realizzarle;
  2. è fondamentale sostenere questo genere di eventi, soprattutto se non fanno parte del tuo centro urbano;
  3. la musica è un linguaggio che non unisce, spesso divide e questo è importantissimo. Certe cose piacciono, certe cose non piacciono, andarle a vedere è la chiave principale per mantenerle tutte vive;
  4. Panzano mi piace, forse ci vivrei, alla trattoria non trovo mai posto quindi ci ripenserò il prossimo anno;
  5. resistere significa esistere.

Di tutte queste banalità finali e considerazioni da discount però rimane la notte, la terra umida, quell’odore che senti nelle ossa e sullo sfondo, lentamente la nebbia che sale, ma questa è l’Emilia, verace appunto, un bel viaggio, ovunque tu possa capitare, qualunque sia la tua motivazione. Eravamo terra, torneremo terra però prima è sempre bello attraversarla. Panzano, ci vediamo prossimamente.

 

Collettivo HMCF X Festival 2020

UNA COSA MOLTO BELLA CHE NON RIFAREMO MAI PIÙ ANCHE SE È VENUTA DECISAMENTE BENE. 

Come iniziare un report di un festival non ne abbiamo idea. Di solito si fanno i ringraziamenti sentimentali alla fine, mentre all’inizio con un pò di coraggio, si prova a fare dello storytelling attorno a un episodio particolare avvenuto, in realtà qui, ribaltiamo tutto, ringraziamo subito tutti coloro che hanno deciso di condividere  il proprio tempo libero nel venire a sentire un progetto musicale semplicemente perchè incuriositi dalla manifestazione. Questo, in un momento storico del genere per il settore della musica dal vivo è stato qualcosa d’importante e veramente significativo che apre anche a diverse riflessioni, sulla famosa generazione di persone 18-35 anni. Ma ci arriveremo durante e dopo, ora questo percorso deve iniziare, anche solo per le foto di @nonseguirminoncapisci 

Garda1990

Il Parco di Villa Angeletti è un posto educato, composto e discreto. Una volta qui ci facevano i festival veri, la musica elettronica, la libertà, i diritti, ora si sta ricostruendo un po’ d’identità. Il pubblico è composto, attento e giovane. Già, “giovane e composto” sembra una bestemmia in questa epoca storica eppure, nonostante i molteplici reclami all’utilizzo della mascherina e del distanziamento sociale, nessuno la prende sul personale, tutti sembrano capire il tempo che stiamo vivendo e sì, è una cosa molto bella. Poi la musica, Venerdì per una serie di motivi parte Garda1990, che fa musica post emo con grande serietà, poi arriva Fabbri che è un genio ma ancora nemmeno lui lo sa. Il pubblico risponde e sul palco ci sono le atmosfere di season, un incrocio fa Sufjan Stevens e Real Estate. A chiudere la prima parte, quando il sole inizia a scendere, arriva una ragazza timida, si chiama Mìcol, non si fa vedere bene in faccia e ha degli occhiali da sole stile after dell’after party e niente, quando canta fa paura: Cat Power con il timbro morbido e sporco.

Fabbri

 

UNA GRANDISSIMA IDEA DI MERDA VENUTA BENE PERCHÈ CI SONO PERSONE PAZZE COME VOI CHE HANNO SCELTO DI VENIRE.

Ripartiamo con F4, che ha fatto il disco dell’anno, canta in duo ed è di una leggerezza nonostante la portata musicale che ti lascia senza parole. Ibisco sale su, fa suoi pezzi, due cover, c’è il bagno di folla, il ragazzo ha spaccato. Però ormai è notte, c’è bisogno di rock’n’roll, quindi i Benelli a smuovere le persone con l’atteggiamento di chi ha fame e voglia di arrivare; Nostromo invece è serio, empatico e preciso come un goniometro, forse con la bellezza delle sue canzoni canterebbe bene chiunque. Franek Windy invece non fa il punk ma ci porta nel quarto millennio e nella sua ennesima sfumatura insieme a YOY, collezionando un live emo elegante e decisamente Trap. A chiudere una quasi full band, i Leatherette, naturale risposta a King Krule versione uscita da un libro di Irvine Welsh, in un parco di Villa Angeletti che risponde presente ed entusiasta. Loro spaccano, il pubblico pure, fine primo tempo. Andiamo a casa, domani sarà lunghissima.

F4

Quando eravamo bambini avevamo paura del compagno di scuola bullo, poi crescendo dei professori, poi a un certo punto diventi tu il professore o meglio, il tutore della legge. Imponi una tua moralità assoluta sperando non venga trasgredita; ecco questo non è un passaggio dovuto al tempo ma alle responsabilità. La giornata numero due parte con il nuovo spettacolo de Lo Sgargabonzi che a orario aperitivo ci fa commuovere dal ridere anche perché cita Mattia Santori poi dopo due ore passa proprio Mattia Santori e tu non fai altro che credere al destino. Quando il sole cala, la nuova versione di Fosco17 si presenta matura, decisa e affronta anche brani inediti, il palco è stato mangiato. Segue un break, con analisi tecniche e si riparte con le atmosfere di Vipera travestita da Sarvago, accompagnata da 2/5 dei Leatherette, qui il livello qualitativo si alza e poi arriva Tina Platone che avrà solo una chitarra in mano, però quando apre bocca con le sue canzoni è veramente impeccabile in tutto.

Vipera

Rareș ha il suo computer, i suoi strumenti e ci porta un pò nel suo mondo, nelle sue canzoni, non sono loro a venirti incontro ma è proprio lui a darti le chiavi per entrare con grande signorilità; Elasi porta a casa il compito più difficile di entrambi i giorni, ovvero quello di collegare la modalità showcase da canzone acustica e atmosfere soffici che ti sussurrano verso lidi più selvaggi, rumorosi, invadenti come il gran finale figlio del mondo hip hop. Gente è un pò paraculo, un pò hip hop, un pò musica Italiana, un pò ritornelli che non smetti di cantare, un pò che tutti alla fine cantano e insomma scalda il pubblico che ormai forse vorrebbe entrare in dimensione rave ma non può, perchè non sarebbe legale; a chiudere però arrivano 3 ragazzi giovani, due fanno hip hop da quando hanno 12 anni, sono Bobby Wanna e Corei, l’altro invece MANCHA sta alle macchine e non è un vero e proprio figlio della famosa scena, ma siamo sicuri che presto ne sentiranno tutti parlare. Il finale è per forza un corpo a corpo fra Bobby Wanna e Corei a colpi di scena rap del futuro e perchè no, del presente. La seconda giornata volge al termine, adesso ci sono 5 ore davanti e poi tutti a sostenere la follia di organizzare un concerto all’alba dopo due giornate del genere.

Bobby Wanna

La notte passa, tra fornai, qualche musica di sottofondo del nostro Marco Cantelli detto anche Marcovo e una preparazione meticolosa di quella che è sicuramente una splendida location, denominata Bottega con giardino, uno sguardo bucolico e post-frenetico dall’alto della città di Bologna con i colori che si schiariscono e il sole che lentamente spinge la sua energia. Fa freddo ma tutti arrivano coperti, il caffè che realizziamo non è il massimo però riusciamo persino a finirlo e a soddisfare tutti, mentre sul palco ci scaldiamo con Fosco17 che doveva venire ad aprire le danze in un luogo del genere, poi dalle bellissime terre Friulane via Milano arriva Delmoro, cantautore maturo elegante e con uno stile pazzesco: mettersi lì di Domenica mattina e fare una Domenica bestiale di Concato secondo noi vale il prezzo del biglietto. Baseball Gregg invece è il paladino della scena underground Bolognese, l’artista che con il suo progetto musicale tutti dovrebbero conoscerlo. Chitarra, immaginari soft da spiaggia del nord e sassofono, un formula perfetta per l’orario e una resa impeccabile, apprezzata da tutti e in grado di giustificare persino la volontà del sole di uscire a tutti i costi con i suoi colori più accesi. A chiudere Sleap-e che ha un modo semplice di fare musica profonda, piena di sfumature e in grado di riportarci quieti come quando la tempesta smette di abbattersi nelle nostre giornate, nei nostri pensieri. Sul finire c’è ancora voglia di andare avanti, il sole ormai ha sancito che l’alba è finita, il freddo si è sciolto, i Benelli improvvisano, forse si potrebbe continuare ma siamo tutti stanchi anche se non c’è nessuno zombie.

Bottega con giardino

La discesa verso la città è qualcosa di agrodolce che ci fa tornare bambini. Un pò come le gite che i più fortunati facevano proprio di Domenica a metà mattinata però a un certo punto ti rompevi i coglioni. Ci sono ciclisti, podisti, persone che vogliono fare il brunch e soprattuto sta per iniziare la santa messa. Scendendo dai colli Bolognesi – già il famoso clichè dei colli Bolognesi – attraversando il quartiere Costa Saragozza e arrivando nel centro storico, ormai fortunatamente chiuso al traffico, ci rendiamo conto che di tutte le cose che abbiamo ascoltato e che magari progettiamo di fare in un futuro prossimo, il tempo sarà l’unico fattore che non potrà più essere riscattato da nessuno di noi. Ma il tempo è uno dei rari esempi di equità sociale e morale, non importa realmente – cosa fai – dove sei – chi sei – perchè lo fai – bensì per quanto lo fai. Per quanto ci ricorderemo di essere stati bambini? Per quanto abbiamo scelto di condividere la nostra vita con certe persone? Per quanto abbiamo bevuto? Per quanto tempo saremo considerati una generazione fragile e mediocre? Per quanto tempo insomma è durata questa discesa verso la città dopo una due giorni, che avrà sicuramente i suoi miglioramenti da fare, ma è stato davvero un piacere? E infine, per quanto tempo deve andare ancora avanti questo lungo e prolisso reportage che non metterà d’accordo nessuno e fortunatamente renderà tutti scontenti?

Baseball Gregg

Grazie a Nastro Azzurro, Estragon Club, Freakout Club, Bottega con giardino, BPM Concerti, gli artisti che hanno scelto di partecipare con i loro management, etichette discografiche e booking. Ci vediamo in giro, non si sa quando, ma speriamo che sia ancora per molto tempo. Ai nostri 10 anni con voi, stronzi.

Come perdersi nella Città Delle Persone
Erano passate le 10:45 di una domenica d’estate e la mia amica Monica non si era ancora palesata all’appuntamento fissato alla pasticceria Dino.
Mi infastidiscono molto le persone in ritardo, lo confesso, ma per ragioni ignote, sembra che vada sempre più di moda non essere puntuali.
E poi tutto peggiora inesorabilmente quando sei da solo ad attendere in un luogo dove il dolce e il salato regnano sovrani dal 1963.
Nessun segnale, nessun messaggio, nessuna segreteria. Dove diamine era finita?
Non poteva essersi persa Monica, Monica abita a Castenaso, e comunque Monica non si perde mai.
Data la notorietà del bar c’era un costante via vai di persone che io mi limitavo a osservare silenziosamente, come faccio di solito, senza proferire parola alcuna.
D’un tratto una mesta combriccola d’anziani e un gruppetto di baldi giovani, peraltro capitanati da un soggetto con una pettinatura assai discutibile, iniziarono a fissarmi.
Mi guardavano strano, sembravano incuriositi, molto probabilmente si stavano prendendo gioco di me, o forse, si stavano semplicemente domandando: “Ma da dove cavolo è uscito questo inutile babbeo con la camicia di lino?”
D’altronde, io non sono abituato a questo tipo di situazioni. Sono nato in via Marsala, in pieno centro, in una Bologna di fine anni 80 dove il bar faceva spavento e dove per pubblico decoro s’intendeva sporcizia e spade più che spazi verdi.
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Passati alcuni interminabili minuti sotto il fuoco nemico e ormai convinto che Monica si fosse dimenticata di me (ma non della nostra amicizia), decisi di fare una colazione abbondante con due paste alla crema e un caffè doppio rigorosamente in tazza grande (My way).
Non sono un grande appassionato di macchine, lo ammetto: le macchine non mi interessano. Al massimo riconosco solo la Mercedes- Benz per via del logo e in più detesto guidare poiché mi crea forte ansia.
Quel giorno infatti ero arrivato in paese grazie all’autobus 99 che mi aveva lasciato al Municipio.
Per fortuna non era una giornata molto calda e l’idea di passarla parcheggiato in un bar mi lasciava abbastanza perplesso, forse perché avrei iniziato a bere e questo non volevo che accadesse. Almeno per ora, e comunque non per noia.
Decisi quindi di lasciare la Pasticceria Dino e m’incamminai.
Questa passeggiata senza destinazione destò in me del tenero ed immotivato entusiasmo, per quale motivo?
All’improvviso iniziai a ricordare di quella volta in macchina con nonno Alfredo.
Quel luccicante cartello all’entrata del paese.
Quell’immagine ancora vivida nelle mia memoria.
L’enigmatica scritta: Castenaso, Città delle Persone.
Mi fermai un secondo su via Nasica, il prosieguo della strada provinciale. Dovevo seriamente riflettere perché quel ricordo mi aveva tagliato completamente le gambe.
Credevo che il mio rapporto con il comune di Castenaso fosse esclusivamente legato a Monica, alla sua casa ,alle sue cene eleganti, alle grigliate estive in giardino. Mi sbagliavo: non era la grande amicizia con Monica l’unico nesso con quella ridente comunità di persone. Ecco, avevo trovato la risposta: io qui c’ero già stato e conoscevo tutto.
Infatti, a pochi minuti a piedi da me c’era il Parco Della Resistenza, una sorta di Kensington Gardens che storicamente delimitava il confine con Fiesso.
Ora è circoscritto dalla contrada Dante Alighieri ed è un’ oasi ricca di natura, percorsi vita e giochi per bambini. Un luogo pieno di vita.
Usciti dalla riserva si impone il magnifico Hotel House, dove adesso tutto il primo piano viene affittato per corsi di Yoga, attività molto in voga nel pubblico femminile fra i 17 e gli 80 anni.
Il tempo passava, e alle 12.45 ancora nessuna novità di Monica.
S’era ormai fatta ora di pranzo.
Ritengo che pranzare da soli al ristorante non debba essere visto come un gesto triste, anzi. Le persone che lo pensano probabilmente sono individui che hanno trascorso troppo tempo davanti alla televisione di Stato.
Pranzai quindi all Officina del Gusto senza inutili sorrisi di circostanza, maschere o conversazioni forzate e superficiali. Primo, secondo e dolce.
Procedendo convinto verso down-town e il Torrente Idice, attraversai il ponte blu pedonale “Rethymnon”, una bizzarra struttura di calcestruzzo e metallo inaugurata nel 2003.
Più avanti sulla destra intravidi il celeberrimo Negrini Stadium, campo del Castenaso Football Club, una pietra zemaniana della serie cadetta.
Erano le ore 15.30 e Monica continuava ad avere il cellulare spento, se fosse morta, d’altronde, il paese lo avrebbe saputo.
Volevo fare un riposino sotto gli alberi e sapevo già dove andare: 3 ettari di splendida vegetazione, antichi manufatti idraulici e un assordante silenzio, il Parco Della Rocca. Dormii come poche volte ho fatto nella mia tormentata esistenza da persona insonne. Ero incredibilmente felice.
Dopo il mio risveglio notai un cambiamento nell’aria. La gente iniziò a salutarmi ed io ricambiavo. Un bellissimo e incondizionato gesto di dare-avere senza avidità, invidia, soldi, vestiti e bottiglie.
Ancora non capivo come Savigno fosse la città del Tartufo (chiaro si mangerà tartufo) e Castenaso quella delle persone, ma questo non era più importante.
Castenaso non era più un semplice paese, era diventato un luogo dell’anima a tutti gli effetti.
Le persone con forte tendenza all’introspezione soffrono di più rispetto ad altre, però certi luoghi ti sfiorano il cuore e ti aiutano a sognare.
Castenaso per me era diventata pura speranza.
Non mi serviva più quello stupido Yoga tanto in voga nelle caotiche e affannose città metropolitane. Mi bastava semplicemente stare fermo ed osservare. Necessitavo di abbandonarmi verso la pura contemplazione di quella cittadina che qualcuno, a ragion veduta, soleva chiamare “Città delle Persone”.
Allora il mio passo si fece veloce e deciso verso Sud dove m’imbattei nellla Wimbledon di Castenaso, il celebre Casalunga Golf Club.
Un resort di prestigio, un audace percorso a 18 buche con la piscina, la sonorizzazione e i campi da tennis in erba. Badate, non quell’erbaccia sintetica, ma erba vera.
Già mi ci vedo un giorno con i miei compagni di merenda Ares, Cisco e Teo, tutti vestiti di bianco, magari con qualche chilo di troppo, giocare un doppio su quel tappeto verde.
Sogno interrotto.
Era giunto l’orario dell’aperitivo, destinazione Bar Centrale.
Ahimè o per fortuna potevo bere.
Dopo essere entrato con nonchalance, rivolsi il mio miglior sorriso ebete ai baristi e all’ennesimo gruppetto di anziani che giocava a TreSette: il tentativo funzionò brillantemente.
Sinceramente mi reputo un discreto giocatore di carte, ma ammetto di non aver avuto il coraggio di sfidarli. Sarebbe stato uno sforzo emotivo troppo grande. Non sono neanche riuscito a reggere il contatto visivo con quello che immagino fosse il loro esponente più in vista, così declinai pavidamente la sfida celata nei suoi occhi. Un po’ come quando ti dicono che se incontri un Grizzly sul tuo cammino l’unica cosa che può salvarti la vita é fissarlo negli occhi e non aver paura. Per me quel vecchio oplita macedone del TreSette era molto più di un Grizzly. Non ressi affatto quello sguardo pregno di rivalsa e mi accontentai della solita caraffa di spritz.
Ad un certo punto mi squillò il cellulare, era Monica che si scusava per il clamoroso ritardo.
Aveva passato le ultime 28 ore a litigare con il suo compagno, una prassi ormai solida e costante nella loro relazione.
Ho cercato al suo arrivo di consolarla nel modo più semplice e immediato: dandole un abbraccio. Ero un pò ubriaco e quell’abbraccio fu ancor più affettuoso.
Ho evitato di infierire sul ragazzo che da sempre la tratta male, anche perché non voglio più perdere il mio tempo a parlare di individui di cui non m’importa nulla.
La gente quando non capisce inventa e questo è molto pericoloso” scriveva Alda Merini. Io quando non capisco abbraccio.
Dico a Monica che il principe azzurro non arriverà mai a cavallo di un bianco destriero e né alla guida di una bella macchina o con un motorino truccato. Se arriverà, sarà a piedi, vestito male, stanco e con occhiaie funeree. Forse quel giorno pioverà pure ma non ci farete caso.
Allora mi avvicinai e le sussurrai all’orecchio:
Fidati cara Monica che per te quel giorno arriverà.
La vita è questa nella Città Delle Persone,
anche se a volte ci si perde.
T.Saragat

Le foto scattate sono state realizzate recentemente da alcuni professionisti del settore.


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Un giorno d’estate, un fuorisede

Ho finito gli esami della sessione estiva l’ultimo martedì di luglio. Ho accettato un ventitré striminzito in Politiche della Popolazione e qualche giorno dopo, giusto il tempo di salutare i compagni di corso, sistemare la mia singola e stipare di vestiti sporchi un borsone, ho preso posto nel vagone otto di un Intercity diretto a Bologna Centrale. Alle stazioni che risalgono lo stivale incrocio lo sguardo con i miei omologhi sul binario opposto. Treni zeppi di studenti cui spetta un’estate di mare, riso patate e cozze e albe sulla spiaggia mentre i miei compagni di carrozza sono per lo più vacanzieri di luglio con lo sguardo grigio di chi lunedì tornerà a lavoro. Sei ore e cinquantaquattro minuti dopo, scollato il mio sedere dalla pelle blu del sedile, mi dirigo verso l’Autostazione dove la corriera 442 mi conduce finalmente a casa.

Sono al primo anno fuoricorso della triennale di Scienze Statistiche all’Università Aldo Moro di Bari ed ogni estate, i primi di Agosto, affronto questo viaggio per tornare a casa. Mentre tutti i fuorisede d’Italia si apprestano a scendere giù, io come un salmone viaggio a ritroso e torno a casa, a San Marino di Bentivoglio. Scendo dall’autobus alle 17.10, c’è un caldo infernale e un concerto di cicale e tortore. Per strada nessuno, e mentre l’autista, ormai solo, prosegue la sua corsa verso Saletto io decido di non passare subito a casa ma di andare prima a Villa Smeraldi. Per strada penso a come ci si debba sentire a guidare una corriera con nessuno a bordo, nessuno alle fermate, nessuno che ti chieda un’indicazione.

La bellezza del parco della Villa è immutata, quanto mi erano mancate le tartarughe del laghetto, i vecchi attrezzi agricoli del Museo della civiltà Contadina, la ghiacciaia, la maestosità dei grandi tassi ai lati del vialetto. Due ragazzi giocano fiaccamente a pallone, una mamma raccoglie le sue cose e urla ai bambini che è ora di andare, si torna in città dopo un tuffo nel verde. Esco dal lato del Pomario, un frutteto che raccoglie un centinaio di varietà antiche di alberi da frutto e mi perdo tra i filari alla ricerca del melo Ruggine che qualche amico mi aveva regalato l’anno della maturità, ma il tempo deve aver lavato l’inchiostro dai cartellini. Una volta a casa ricordo che i miei non saranno di ritorno prima delle 20.00, allora scendo in cantina ed inforco la mia vecchia mountain bike impolverata in direzione nord, scalo il ponte sul Canale Emiliano Romagnolo simulando, come il me bambino, una volata sui Pirenei tra Virenque e Chiappucci con arrivo trionfale al bivio per Bentivoglio. Ovviamente con la maglia a pois sulle spalle. Sulla destra quella che per me rimane la più bella cappella del Bolognese, il Chiesolino delle Barche, dove in una sera di maggio di una quindicina di anni fa ricordo di aver partecipato con mia nonna ad un suggestivo rosario. Le cicale si placano, l’ombra della bici proietta un velocipede di fine ‘800 e nell’aria un forte odore di melassa, qualcuno ha già iniziato ad estirpare le barbabietole.

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Scivolo veloce verso Saletto, a destra la Chiesa di San Fosco, sfondo dei miei pomeriggi di bambino a casa del mio migliore amico, seguita da un cimitero sconsacrato fonte di macabre fantasie infantili. Le gomme tassellate passano agili dall’asfalto ad una stradello sterrato incastonato in un bosco di olmi, farnie e frassini. Sono all’Oasi La Rizza, oggi una riserva naturale dove tra aironi, beccaccini ed anatre si pedala nelle ex risaie bentivogliesi e si riescono ancora a sentire i canti delle mondine, chine a trapiantare piantine di riso con l’acqua a mezza gamba. Ed ecco che qualche istante dopo le mondine pedalano con me, col loro cappello di paglia ed il fazzoletto legato in testa mentre rientrano dai campi, immortalate in una scultura in ferro davanti al viale d’ingresso dell’Ospedale di Bentivoglio.

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Una chiatta sul Canale Navile mi porta agli inizi del secolo scorso, il Mulino di Ponte Poledrano è ancora in funzione e gli agricoltori guardano il loro frumento diventare farina montando un asino che tira un carro. Poco più in là il Marchese Pizzardi osserva i lavori da una finestra del suo splendido Palazzo Rosso, gioiello in stile liberty dove spicca la sala dello Zodiaco. E sull’altra sponda del fiume i suoi operai proseguono nella ristrutturazione del Castello. Ha acquistato anche quello, il Marchese, la Domus Jocunditatis voluta sul finire del XV secolo da Giovanni II Bentivoglio per farne una tenuta da caccia e teatro del primo incontro tra Lucrezia Borgia e Alfonso D’Este. Torri merlate, grandi stanze affrescate, ponti levatoi…robe che se fossimo in America ci sarebbe il biglietto d’ingresso a 15 dollari e pure il gift shop con le magliette personalizzate.

Chissà quante volte ci sono passato davanti senza nemmeno farci caso, forse l’andare a vivere lontano mi ha fatto apprezzare quanto di bello avessi intorno. O forse ha ragione Pirandello a dire che “vale più una pietruzza in patria che un regno fuorvia”. Questa sera andrò alla Trattoria Le Stelle ed ordinerò delle tagliatelle al ragù, quest’estate non mi muoverò da qui.

Andrea “Orto” Ortolani


Le immagini sono state scattate da Andrea Ortolani durante una di queste giornate estive. Lui suggerisce di guardare anche Bentivoglio e dintorni dove c’è del gran materiale in realtà


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Da un altro punto di vista

Prendevo il 91 dalla stazione centrale 3/4 volte a settimana. A Calderara avevo la prima fidanzatina o meglio, io pensavo di essere fidanzato, lei frequentava altri ragazzi. Vabbè, avevo l’apparecchio ai denti e odiavo il mio dentista augurandoli sempre le peggio sfighe, poi dopo 10 anni mi hanno detto che è morto dopo una brutta malattia e ci sono rimasto di merda. Con un male allo stomaco, paragonabile solamente a quando tornavo da Calderara in quei pomeriggi invernali.
Alla fermata del bus, c’erano sempre 3/4 ragazzotti piuttosto colorati e con le mutande firmate. Io avevo appena fatto la mia solita performance da soprammobile a casa della mia presunta fidanzata e ogni volta tornare indietro era un pugno allo stomaco. Perchè quei 3/4 ragazzotti mi pigliavano per il culo perchè avevo l’apparecchio e mi vestivo poco colorato, poi la mia ragazza o presunta tale, usciva con il suo ragazzo che non ero io e infine mi toccava passare vicino all’aeroporto e insomma l’aeroporto mi mette una gran ansia. I 3/4 ragazzotti facevano poche fermate, scendevano subito e ascoltavano musica di merda. Roba da truzzi. Non borazzi ma truzzi. Ora molti di loro fanno trap, qualcuno avrà pure fatto i soldi. O almeno lo spero.
Un pomeriggio in particolare, mentre ero a casa della mia presunta ragazza è arrivato il padre, che nella vita fa il militare e poi sono stato cacciato a calci in culo di casa. E lei manco è scesa per salutarmi e nemmeno un messaggio mi ha scritto. Insomma bella merda.
Poi pioveva, io sono andato in una pizzeria a mangiarmi un trancio di pizza e ho aspettato 45 minuti sotto al diluvio questo bus, con un gran mal di pancia. I soliti 3/4 ragazzotti, le mutande colorate, l’apparecchio, aeroplani eccetera eccetera. Insomma una bella merda.


A mia madre dicevo che andavo da un mio amico, mi vergognavo troppo della continua umiliazione che subivo. In pratica di Calderara di Reno per me ha sempre rappresentato un pugno allo stomaco, una gran depressione.
Con il tempo ho tolto l’apparecchio, purtroppo il mio dentista è morto, quella ragazza ha fatto due figli e io un giorno mi sono ribellato ma non mi ricordo come. Ho preso l’aereo e sono stato sempre malissimo però questo non c’entra nulla e quei 3/4 ragazzotti sicuramente fanno trap, ma credo senza successo vabbè.
A ferragosto ho preso il mio Vespino e ho deciso di andare a Calderara di Reno. Così. Perchè tutti me ne hanno parlato bene e io da 12 anni non ci sono mai tornato. I miei ricordi di Calderara si fermavano a una/due vie perchè dovevo sempre nascondermi. Guidando intercetto il 91, lo superò e sento odore di aeroporto. Gran ansia.
Calderara in realtà è un paese estremamente tranquillo e ben tenuto. Ci sono un sacco di manifestazione, spettacoli e parate. Tutte nel rispetto della cittadinanza. Un posto assolutamente da vivere o dove passare una giornata serena, senza pugni nello stomaco. Nella confusione e sorpresa della mia testa sorge pure il Cippo del Triumvirato – a Sacerno, frazione vicina – ovvero dove Marco Antonio, Ottaviano Augusto e Marco Emilio Lepido nel 43 a.C., si incontrarono e diedero vita al Secondo Triumvirato, spartendosi le province sotto il dominio di Roma.

Il Cippo del Triumvirato

Il Cippo del Triumvirato

In pratica qui partì il processo di trasformazione di Roma da Repubblica a Impero.
E io che andavo solo in una pizzeria al trancio – ora chiusa – e mi facevo prendere per il culo da 3/4 ragazzotti. Ad ogni modo è cittadina dai grandi valori storici e agricoli. Leggo le storie su internet, quasi ci rimango male quanto per il mio dentista. Respiro aria buona, mangio un boccone in un ristorante di pesce davvero di qualità poi parcheggio la Vespa e torno alla fermata del 91. Accendo una sigaretta post pranzo e qualche giovane ragazzotto con le mutande firmate amante della trap mi viene incontro.
In realtà non sembrano così stronzi anzi, forse ero proprio un babbeo io. Sta passando il 91 è Ferragosto, uno dei ragazzi grida a un altro dall’altra parte della strada di muoversi.
Forse è l’ultimo passaggio della giornata per fare qualche fermata e scendere, comunque spero riesca a farcela quel ragazzino magrino, alto e con l’apparecchio.
Se perde sto bus maledirà il suo dentista, per carità intervengo e dico all’autista di aspettare. In fretta e furia riesce a salire, i suoi amici lo prendono per il culo poi mi ringraziano.
Oggi abbiamo fatto pace con Calderara, spero diventino trapper di successo, io prendo la Vespa e mi preparo a passare dall’aeroporto. Con quello sarà dura fare pace, ma ci lavoreremo.
Nel mentre ci penso un pò.


Le immagini sono rubate da Google, penso che qualcuno di quei 3/4 ragazzotti oggi faccia il trapper ad alto livello sul serio. In realtà ne sono certo.


Noi ascoltiamo e promuoviamo tanta musica, se volete qui c’è la colonna sonora di questa puntata. Se avete Spotify seguite la playlist, ogni puntata verrà aggiornata.

Suicida senza successo

Ormai bevo tutti i giorni. Federico, il mio storico assistente, oggi mi ha intimato di lasciare la città. Dopo 4 anni da sindaco e altrettanti da assessore, nemmeno il partito mi vuole più. Vattene adesso, salvati, non potresti reggere tutto questo facendo così – le parole di Federico mi picchiano nel cervello al terzo distillato della serata. Sono anche uscito con qualche ragazza più giovane, molto più giovane. Ma niente, nemmeno lo stimolo sessuale oppure rapporti squallidi. Poi loro si vestono, ridono e vanno via. Io mi fumo tre sigarette, bevo un bicchiere, poi arriva l’attacco di panico, passo 20 minuti di tensione poi libero tutte le tossine e dormo sfinito. Lei, sì lei, ormai non c’è più. Ha deciso tutto all’improvviso durante lo scandalo di qualche tempo fa. Io, non so se ho la forza di fare altro. Poi Federico il giorno dopo mi passa a prendere e mi porta a pranzo a Dozza Imolese, paesino tra Bologna e Imola, un pò Emilia ma anche Romagna. Un pò storico ma sicuramente contemporaneo. Dozza Imolese ha due anime. Il centro, chiamato appunto Dozza e Toscanella, una frazione vicina.

Ci sono gli alpini a Dozza, in uno dei borghi più belli in Italia e noi finiamo subito a bere con loro. Non sono neanche le 11.00, ma questa giornata, nonostante la sveglia presto, mi sta piacendo. Io mi sono rasato, ho fatto crescere la barba e porto gli occhiali da sole. I miei fallimenti sentimentali, politici e lavorativi non possono essere una macchia che mi segue ovunque.

Poi Federico passeggiando apre una porta con un mazzo di chiavi.

Tu resti qui capo – mi dice sconsolato.

Come? – rispondo spaventato.

“Dorota penserà a te, per un pò di tempo è meglio restare fuori dal partito, una tempesta ci sta travolgendo e noi, per quello che hai fatto, dobbiamo preservarti perchè ti vogliamo bene”.

Dorota ha 77 anni, ma lo spirito di una giovane ragazza emancipata di quelle serie tv Americane di bassa lega.

“Sei grasso, hai perso i capelli e non hai la forza di farti da mangiare, ora mettiti questi vestiti che c’è da rendere questo paese ancora più pulito che arrivano gli artisti per la biennale. Forza.”

Ogni due anni, diversi artisti dipingono i muri di Dozza Imolese. Ora ci si divide così, a Dozza i murales, a Toscanella i graffiti e l’arte di strada. Due anime legate dal desiderio di poter fare nuovamente e sempre, qualcosa. Insomma, questi luoghi ti danno una seconda possibilità. È nel loro DNA non giudicarti.

Io passate le 18.00 mi butto al bar, dopo 9 ore di servizio civico mi sembra il minimo. C’è una lettera di Gattei sul giornale in cui chiede scusa e dice che se ne andrà – dicono al bar, leggendo i giornali della città. Gattei sono io. Io non ho mai scritto nessuna cazzo di lettera. C’è una mia foto con pochissimi capelli e senza barba. Sembro una persona in pessima saluta mentale. È vero. Solo che la foto è del momento in cui sono stato eletto sindaco. Potevo guardarmi meglio. Ora non sto peggio. O almeno credo.

Al quarto gin-tonic, mi metto a parlare con quest’artista francese. Non ho un buon inglese ma solitamente mi faccio capire. Concepivo gli artisti come persone un pò fuori di testa da cui comprare opere per arredare casa mia e di conseguenza sembrare fico. In realtà oh, ci sono un mare di sfumature che mi colpiscono. Saranno i cinque gin-tonic – siamo al sesto ora – eppure, nonostante il pacchetto e mezzo quotidiano di sigarette, mi sento proprio bene. Leggero. Qui non vengo giudicato, anche se Dorota non è proprio contenta che arrivo così tardi la sera, ma a lei basta non vedermi a letto dopo le 9.00. Fra la Dozza e Toscanella, ogni due anni, in questi giorni, migliaia di artisti e storie raccontate. La mia fa da contorno, mentre il partito in città sta esplodendo e la mia ex compagna ormai si sposa con qualche avvocato da quattro soldi.

Passano i giorni, la manifestazione finisce. Passano le settimane, poi le stagioni.

In paese ormai mi sono rivelato per quello che sono veramente. I capelli non crescono più e nonostante qualche vizietto, ho ripreso a seguire la politica del paese. Federico ogni tanto mi scrive. Ci sentiamo.

La mia ex compagna si sposa. Federico me lo dice. Con Carlo, quello che pensavo fosse un amico, quasi collega. Dorota esce con un nuovo ragazzo di 81 anni che amministra un condominio a Toscanella. Io forse mi candido a sindaco.

Nel borgo, di notte, anche se fa freddo e più volte ho tentato di farmi male senza successo con il mio stile di vita, ho capito che la soluzione ai problemi non sta nelle cause ma in questa semplice passeggiata al terzo gin-tonic.


Immagini tratte da Google dal sito della fondazionedozza dove vi spiegano bene, la grandezza di questo paese. Se nella vita non passi da qui almeno una volta significa che non c’hai capito un cazzo


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Protagonisti relativi

Da queste parti non c’è molto da fare all’apparenza, eppure ci lavora un sacco di gente e ci sono ristoranti niente male e alcune cose belle da vedere. Ma proprio belle belle come Rocca Isolani, l’Oratorio della Natività, il Palazzo Municipale e il castello a San Martino in SoverzanoEcco, il castello. Il castello è magnifico e ci vanno anche molti turisti di passaggio o che si fermano per lavoro. Qualche giorno fa è arrivato Sir Carter e mi hanno detto, avendo io una laurea e quindi presupponendo che sappia bene le lingue, che dovevo guidarlo.
Ok va bene, ma chi cazzo è Sir Carter? Cioè si chiama Carter? Oppure come si chiama?
Ci troviamo al bar centrale sotto al portico, lui ha 1 autista e 1 guardia del corpo/assistente. Ragazzone alto, molto impostato e con occhiale. Arrivato al bar mi guarda, io ho un cartello con scritto Carter.
Ciao! I’m Sir Carter uaciuganodu weyou” insomma non c’ho capito un cazzo, ma penso si sia presentato. Rispondo con Italiano a gesti come se fosse un sordo e non un Americano.
Io sono Walter, Walter Natali e sono, sono io, il tuo uomo, not boyfriend ma uomo, guida, traveller!” in qualche modo mi faccio capire.
Poi al bar, da Tiziano a Maurizio sospettosi, domandano ad alta voce “oh, ma chi lè sto forestiero?
“Con quelle spalle lì è buono per raccogliere due pesche da me” risponde ridendo, dopo il terzo campari/gin della mattinata il buon Fabione, che ha il campo qua dietro.
“It’s wonderful this location, aiu ganaway, yo so uaciuganadu, ok?” – io guardo i due armadi che sono fuori in macchina, guardo Carter, guardo Fabione. E niente, non c’ho capito un cazzo.

Castello dei Manzoli bis

Castello dei Manzoli

Decido di portare a mangiare tutti da mia zia, che fa le tagliatelle migliori di Minerbio. Prima entro io, poi questi due armadi in abito.
“Sono tornati a prenderci i fassccisti?” esclama impaurita la mia povera zia.
“No Zia, loro sono gli assistenti dell’ospite che il Comune mi ha detto di portare in giro!”
“A Minerbio?”
“Eh oh, voleva farsi un giro a Minerbio”
“A Minerbio? Ma perchè non a Ferrara? Bologna?”
“E io cosa ne so”
Carter entra.
Mia zia lo guarda.
“Tu chi sei?cosa fai?da dove arrivi?”
Carter mi guarda poi accenna:
“I’m from America, my name is Sir, uaciuganasu, asganaway, nice to meet to you”
“Niente Zia è Americano, si annoia, ha una 20ina d’anni e si chiama Carter”
“Sir” mi interrompe Carter.
“Sì, è tipo un Sir di qualcosa”

Cortile Rocca Isolani

Cortile Rocca Isolani

Tolto l’imbarazzo iniziale mangiamo tagliatelle e polpette, poi due bicchieri di vino, un caffè e mia zia è già ubriaca: Carter che lavoro fanno i tuoi genitori?
“Che Job your mather e father?”
“My mum is a Singer and my father is asuganay uaciuganadu, basketball and music”
“La madre tipo canta, il padre giocava a Basket”
La zia è ubriaca, non capisce.
La zia saluta, poi Carter le lascia 200€.
“Asganaway beatiful, uociuganadu wonderful, evviva yeah” – forse Carter ha frainteso, la zia non capisce, io rendo i 200€ a Carter. Nel pomeriggio decido di prendere due biciclette e portarlo da Fabione e da qualche altro contadino.
Passeggiando sotto i portici, noto che un paio di ragazzine guardano il cellulare e mi fissano.
In realtà fissano Carter.
Oppure i due armadi che restano a 10 metri da noi.
Poi Carter si ferma e osserva la bellezza dei portici, delle strade.
“Uaciuganadu, asganaway eccetera eccetera x 4”
Io non capisco e faccio sì, poi prendiamo le biciclette e andiamo dai contadini con una macchina blu con dentro i due armadi.
“I uaciuganadu asganaway 18, Castle”.
Pare voglia andare al Castello alle 18.00
Ok però le visite oggi sono chiuse.

Oratorio della Natività e Palazzo Municipale

Oratorio della Natività e Palazzo Municipale

Vabbè stiamo fuori, giriamo attorno, prendiamola così. Dai contadini Carter annusa tutto, mangia qualunque cosa, assaggia, pensa, pensa e annusa.
“Oh lu què mi sa che è matt” mi dice Fabione.
Felice e sorridente, Carter mi segue e arriviamo al Castello. Fuori ci sono una montagna di persone, telecamere e il traffico è chiuso come nelle migliori notti bianche. Mai vista così tanta gente a Minerbio. Poi parte musica Americana, tipo Beyonce e Jay-Z quella roba lì. A un certo punto Rihanna, Carter sorride “asganaway uocuganadu”
Sì Carter ok.
Però è meglio che ce ne andiamo da qui che i due armadi poi si incazzano con me. Carter mi indica il castello e le persone. Io faccio no con la testa.
Lui indica. Io di nuovo “no, tropp people”.
Lui sbuffa, poi ride.
Poi mi chiama Romizi che è poi il mio datore di lavoro, nonchè capo della proloco bassa Bolognese. “Mi porti il ragazzo nel retro del castello?” – perfetto, glielo lascio così se la vede lui.
A un certo punto il maxi schermo del castello proietta foto di un Carter sudato, un Carter serio, un Carter sorridente, un Carter nella vita quotidiana, insomma un Carter continuo. Io in fondo alla massa alzo il braccio. Mi sbraccio, lui appare, provo a salutarlo. Nel mentre Fabione, poi mia zia vengono intervistati perchè Carter ha passato la giornata con loro, io attendo. Dai è merito mio. Anche io. Anche io, cazzo.
Nel mentre dal palco, Romizi e tutti i sindaci di Bologna e provincia ridono, Carter prende la parola e dice: “asaganaway, uovioganadu, asaganaway castle uociguugandu, thanks Minerbio”.
Segue boato da stadio, gente in lacrime che si abbraccia e bottiglie stappate. Nella nevrosi di massa, Carter esce di scena, nello sfondo una foto dei cantanti Jay-Z e Beyonce, mentre io mi avvicino a Fabione e lui mi guarda, io lo guardo: sono commosso – mi dice – è un bravo ragazzo  ed è pure un bell’uomo. Io non capisco.
Mia zia con il fazzolletto in mano e le lacrime agli occhi: gli Americani, di nuovo gli Americani ci hanno liberato ancora da fasscisti. Io non capisco.
Poi i due armadi più tre altre automobili caricano Carter e Carter se ne va.
La via si libera, le persone tornano a casa.
Carter ha salutato e tutti si sono commossi.
Al bar centrale già non ricordano più nulla, io non c’ho capito un cazzo. Poi una ragazzina mi fa: ma tu sei stato con Sir?
Io rispondo: eh? cosa?
Lei lapidaria, incisiva, grezza e schifata: ma lo guardi instagram?
Il sole è caduto, la sera è scesa. Domani tagliatella poi contadini, magari mi viene voglia di una gita al castello, tanto qui i protagonisti sono relativi.


Sir Carter è il figlio di Beyonce e Jay-Z, attualmente ha compiuto 1 anno di vita, in questa storia è già maggiorenne. Le immagini sono tratte da Google, Minerbio è bellissima.


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La California che conta

Mio padre

Veniva a Casalecchio perchè faceva un gran fresco. Veniva così spesso dalla città, che poi si è innamorato della Mamma presso il Lido e niente. Ha comprato casa qui e non ha mai mollato il paese. O meglio, per lui Casalecchio è come la California, perché a distanza di 50 anni, sostiene che qui ci sia un clima migliore. Questa cosa non ho mai capito se fosse vera, eppure la vicinanza con il fiume e l’ampio spazio verde del parco Talon sembra dare ragione alla sua teoria.


Io

Che nel 1993 avevo 20 anni. Che nel 1993 ero un bel cretino. E che nel 1993 vivevo a Casalecchio ma sognavo la California, quella vera, non ho mai fatto parte di quella schiera di borazzi che hanno i macchinoni e si trovano al parcheggione della biblioteca. Io, che nel 1993 con il mio vespino bazzicavo i centri sociali di tutta la provincia. Io, insomma proprio io, che nel 1993 non mi hanno fatto entrare a sentire Silvio Berlusconi, imprenditore di dubbia provenienza, allo shopville granreno, appena costruito. “Posso?” – la guardia mi dice ok, poi Marco Franciosi, che andava a scuola con me, ed era uno di quei borazzi con il macchinone, mi fermò. “Non credo tu sia adatto a questa manifestazione” – Franciosi faceva il bulletto perchè era diventato agente immobiliare del futuro complesso di case che avrebbero costruito lì vicino e si credeva il sindaco, aveva una ragazza che lavorava al bar centrale. Una villetta a due piani e un cane. Franciosi ha 20 anni, ne dimostra 43 e non hai mai fumato una sigaretta. Respinto all’uscio me ne tornai a casa con la vespa. Mio padre a casa era estasiato delle parole di questo Silvio Berlusconi. Io molto scettico, lui profetico “ah secondo me si farà”.


Mio figlio

Abitiamo davanti al parcheggione. I borazzi con il macchinone si sono trasformati nella “ccc – casalecchio che conta” mio figlio ha 18 anni. Figlio del nuovo millennio e per molto tempo desiderava una macchina costosa grande e una motocicletta di un certo tipo. Da me e mia moglie, il mio vespino e un abbonamento del bus. Ogni sera mio figlio Lorenzo, guarda fuori dalla finestra. Osserva i coetanei che vanno in discoteca. Prima era invidioso, poi dopo una rissa con il figlio di Franciosi – quello piccolo e grassotello della seconda moglie – ha smesso di chiedermi auto, moto, barche perchè quella gente gli sta sul cazzo.


Epilogo

Ogni Domenica andiamo a pranzo da mio padre. Abita vicino al Lido da proprio 50 anni. Per lui Casalecchio è paese, metropoli e meta turistica. Attraversata dal fiume Reno e tra le prime colline dell’Appennino, per quanto da me odiata per i suoi sviluppi, dentro questo paese c’è la storia della mia famiglia e quella di una cittadina distrutta dalla guerra e poi ricostruita, perché a Casalecchio siamo purtroppo così, sappiamo sempre rinnovarci. A pranzo ci troviamo, 3 generazioni diverse. 3 storie diverse. 3 modi di vivere questo posto diverso. Io ancora sogno di farci la rivoluzione, mio padre pensa di essere in California mentre mio figlio tifa Virtus Pallacanestro e mi è toccato portarlo all’Unipol Arena diverse volte. Insomma qui a tavola di Domenica, viviamo e confrontiamo 3 vite, poi torniamo a casa e ognuno guarda nella sua direzione. Eppure qui c’è posto per tutti e 3, anche se io non vedo l’ora di fare il ponte e tornare in città con o senza la linea 20, perché alla fine quando torno in serata mi viene da sorridere, salutare mio figlio, richiamare mio padre, mettere giù il telefono e pensare che alla fine qui non è poi così male. Ma non ditelo a nessuno.


Ricorda

CCC = Casalecchio Che Conta = gruppo di borazzi con macchine di grossa cilindrata, vestiti da Agenti Immobiliari, amanti delle bottiglie in discoteca e di musica dal dubbio gusto. Fase che comprende età 16-28 anni, poi passa e si sposano 1/2 volte e prendono un pastore tedesco come animale domestico.


Le immagini sono tratte da google, i borazzi di Casalecchio non sono frutto dell’immaginazione ma per anni hanno dominato il paese, poi sono invecchiati e ora ce ne sono altri, ma io lì ringrazio sempre


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Boris Rossi gioca centrocampista centrale nella squadra di calcio del paese, il Rainbow Granarolo. Ha 34 anni e nella vita di tutti i giorni lavora in una piccola azienda qui vicino come magazziniere. Enea Beltrami invece di anni ne ha 79, e dopo una vita passata alla Granarolo, storica cooperativa ben nota per la produzione di latte, ora è uno dei più agguerriti giocatori di bocce della bassa Bolognese. Enea e Boris fanno coppia fissa nei tornei dei vari paesi da 7 anni, oggi per la grande riapertura del campo dietro al Comune di Granarolo dell’Emilia, arrivano all’ultima sfida del torneo organizzato dal comitato del paese. Le web tv locali intervistano Boris, che ha sempre vissuto qui e che soprattutto ricorda tutte l’estati passate da adolescente al campetto di bocce mangiando gelati con suo nonno.

Rainbow Granarolo

La maglia della squadra ufficiale è bellissima.

Un grande giorno per lui ma anche per il più introverso Enea. I due si sono conosciuti proprio qualche estate fa a Granarolo dell’Emilia nel parco di una gelateria. Granarolo d’altronde è così, un pò popolare e verace, un pò borghese e introversa. Coppie giovani, anziani grintosi, lavoratori e persone in cerca della propria intimità. A Granarolo ci sono agriturismi, ristoranti, zanzare, caldo, piscina, librerie, biblioteche e bar. Mezzi di trasporto pubblico comodi e gran rumore per la via principale – San Donato – capace di portarti direttamente a Bologna centro. Storica e in via d’espansione, pulita e produttiva. Le opportunità qui di certo non mancano, il campo da bocce però sì, mancava. A 15 minuti dall’inizio della partita sui social network parte la diretta di quest’inaugurazione/torneo per la sfida finale. Non ci sono vip a presidiare e in sottofondo risuonano canzoni con chitarre distorte, lo-fi, non proprio punk ma più fighetto, borghese come sound. Boris ci mette la faccia, Enea invece resta silente a osservare il taglio del nastro. Finalmente il campo è tornato, per l’estate ci sarà un nuovo punto di ritrovo. Dalla chiesa – 150 metri più in là – suonano le campane, gli spalti sono pieni in ogni ordine di posto. Poco più in là, il nuovo teatro ha offerto un ricco buffet alla cittadinanza. In cielo il fresco di una notte nella parte bassa Bolognese con il silenzio di Via San Donato e il tifo per i beniamini di casa Enea/Boris. Avversaria una coppia di Budrio, paese non troppo lontano ma nemmeno cosi vicino. La mano di Boris non trema, quella di Enea sì. Si va subito sotto e ci vuole un momento di pausa per ritrovare il vecchio leone Enea. Si arriva all’ultimo slot in parità. Nei pensieri di Boris c’e quello di andare a festeggiare con gli amici, mentre in quelli di Enea solo la voglia di far vedere la coppa alla sua nipotina Ottavia che è venuta a trovarla.

Qui in paese, durante le prime foglie cadute dell’autunno, c’è la pratica di mangiarsi il toro e festeggiare, in quello che può considerarsi il vero red carpet del paese. Sì c’è anche il carnevale, le iniziative del teatro, la piscina e la squadra di calcio. Ma il toro è il toro. E tutti vanno vestiti come si deve. Ecco stasera è caldo, Agosto a Granarolo, però il clima è quello di una grande festa. Enea becca il boccino, è Rossa. Hanno vinto. Boris esplode, Enea si commuove, il sindaco stappa una bottiglia fresca e il pubblico tutto in piedi gioisce. Su facebook, la diretta raggiunge centinaia di connessione, Enea intervistato dice che domani si godrà il successo portando la sua nipotina in bicicletta fino a Lovoleto. Boris invece dice che quest’anno vincerà pure il campionato di calcio e corre a festeggiare nel pub dietro al teatro. La serata si rinfresca con una leggera pioggia, ma tanto domani come sempre arriverà l’arcobaleno, dietro la chiesa poco dopo mezzogiorno, appena suoneranno le campane.


 

Le immagini sono tratte da google, il campo da bocce di Granarolo dell’Emilia era attivo fino a circa 10 anni e ogni sera estiva radunava diverse persone. Sono stati utili per scrivere questa storia il sito vialatteagranarolo e i giri in bici quando sta per piovere nelle zone di Cadriano e Viadagola.


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