Nel mare di cantautori, capaci di acchiapparti con quelle 3 frasi stonate e di trapper, a metà fra l’avanguardia e il bluff, durante il #calcuttaday di qualche giorno fa, è uscito il disco di Ketama126 che ho già avuto il piacere di osservare dal vivo qualche mese.
Non ero scettico, semplicemente non mi interessava manco ascoltarlo questo disco. Poi leggendo i soliti articoli con il titolo paraculo, oltre a essermi indisposto perchè il contenuto facesse cacare, ho preso coraggio e sono partito ad ascoltarlo. Di giorno, mentre fuori c’era il sole e quindi un gran caldo. A un certo punto sembrava quasi mi arrivassero gli schiaffi in faccia che non ho mai preso perchè dentro questa riproduzione digitale, non solo c’è un linguaggio e una produzione musicale contemporanea, ma una verità cosi semplice, per molti banale, ma diretta, senza stronzate e per questo piuttosto punk. Badilate di dolore e sincerità, come in quelle situazioni dove tutto va a rotoli e l’unica cosa da fare e prendersela con se stessi grazie all’impossibilità di reagire.
L’ aspetto su cui termino questo brevissimo e inutile scritto è una semplice domanda, perchè quando si parla o scrive di musica, troppe volte si termina le recensioni con quel senso assoluto che non serve a niente e dunque: sono meglio di come appaiono queste nuove star della musica post hip hop Italiana o semplicemente stiamo invecchiando e quindi pensiamo che certe cose possano essere dette solo all’interno di un certo abito? No perchè questo per me è il disco più romantico dell’anno. Per davvero.
Ho comprato il vinile dei Superorganism perchè ascoltando le 10 tracce che compongono l’omonimo album, qualcosa mi ha fatto scattare l’orgoglio dell’acquisto fisico che varrà qualcosa nel tempo. Anche semplicemente per dire “io c’ero” ma soprattutto per ammettere che gli hispter ancora non sono morti, anche se questo universo post radical chic, post chitarrine, post indiesfiga contaminato dal web lol, dal mondo hip hop e con una front girl nata nel 2000 rende, rendono la contestualizzazione del fenomeno difficile. Immagino i critici musicali utilizzare termini sparsi come “novità” – “freschezza” – “post qualcosa” – e più in generale provare un certo piacere nello spingere questo fenomeno, non facile da spiegare, ma attuale, moderno e addirittura senza limiti. In termini non tecnici e nemmeno sociali, questo è un disco spensierato ma strutturato da un punto di vista musicale e capace di unire diverse sensibilità dietro a questo collettivo Londinese, ultimi baluardi della scena indie pop che hanno reso il trend dell’universo “dream” una specie di dormiveglia. Come se non ci stessimo facendo una vera dormita, ma fossimo ancora svegli, rilassati ma leggermente inconsapevoli. Io sono qui che aspetto di partecipare a un loro video, però ancora non mi hanno contattato. Peccato, però bravi e applausi.
Non scrivevo recensioni di dischi da troppo tempo. Generalmente le recensioni chi cazzo ha voglia di leggerle? Parliamoci chiaro: ora conta più essere inseriti in qualche playlist di spotify ed essere condivisi da forti influencer con almeno 30.000 seguaci su instagram. Però insomma, il mestiere di critico musicale (che non pratico) diciamo che è stato centrifugato in modo sciatto per fare spazio a grandi opinionisti (che non sono) da piccole convention sulla musica nell’era digitale (ammetto di averci partecipato). Però alle volte è una questione di responsabilità verso la propria persona e quello che ci si porta dietro. Nonostante il lavoro ti faccia cacare e la vita non ti riservi grandissime soddisfazioni ma solamente una marea di doveri, mettersi a scrivere di questo disco mi è sembrato un atto egoistico che dovevo necessariamente fare. Quasi a voler ricordare qualcosa che non posso più provare, perchè l’entusiasmo per la musica è divenuto una mera questione di numeri “ah questo sta funzionando = questo è valido”. Una volta era tutto più grezzo e si giocava con espressioni più deludenti come “sto disco fa schifo/sto disco spacca” ora no, può non piacerti una cosa ma devi comunque riconoscerci un merito se sta funzionando. Insomma, un conto è comprare i dischi, compiere 17 anni e andare nel tuo club di fiducia a scoprire il tu artista preferito con i soldi della paghetta che ti molla tua madre e quindi, fondamentalmente investi dove cazzo ti pare i tuoi pensieri, la tua rabbia e le tue passioni permettendoti pure di scrivere delle stronzate sopra a un blog che tanto non leggerà nessuno. Diverso è adesso, che stai diventando grande e con la tua maturità non puoi permetterti analisi semplicistiche perchè hai un lavoro, fare serata non fa più per te e quello che puoi permetterti è bere grappa secca in casa per combattere l’insonnia e le ansie quotidiane. Tutto questo per dire, che mi sono preso il tempo necessario per comprare e ascoltare il disco di Generic Animal e ho scritto una profonda recensione: mi piace molto e dovreste ascoltarlo. Il resto è superfluo o forse no.
Perdersi nell’apatia è forse la pratica più consueta della nostra epoca. Tra social network, pubblicità, notizie che scorrono velocissime e stimoli, apparenti stimoli che arrivano di continuo. Viviamo consapevoli di finire le nostre giornate bulimici di novità, mancanti di calore e in una solitudine a cui non sappiamo tutti abituati. Qualcuno si spaventa, altri invece sanno trovarne essenza importante per sfuggire da una realtà che pericolosamente ci rende apatici, parte di un sistema che non ci renderà mai la giustizia che meritiamo. Arrendersi è la parte più matura del percorso, costruire una propria stanza dove rimanere immuni da tutto questo riesce a preservare un lato umano non indifferente. Chiudersi per poi salvarsi, proprio come un disco intimo che ha il coraggio di aprirsi traccia dopo traccia; Echopark dopo quasi 4 anni è riuscito a mettere tutto il calore degli esseri umani in una stanza, con l’onestà intellettuale di chi ha saputo ascoltare, osservare e capire. È forse fuggito da un mondo che continua a cambiare? A me piace pensare che ogni linea di questo disco sia un tentativo di resistenza, dalle mode, dal mondo ma soprattutto da quella stupida, consueta e sincera bestia chiamata apatia.
Quello che spaventa in fondo è semplicemente morire. Il resto è qualcosa che ci viene costruito attorno: abbandono, solitudine, malattia e vecchiaia. Insomma, quando siamo al supermercato e scegliamo cosa mangiare per cena non possiamo certo pensare al momento in cui tutto questo finirà; dobbiamo davvero capire ogni nostra scelta e vivere con l’intenzione di non guardarci mai avanti e nemmeno indietro? Sciatto, spaventoso. La nuova opera di EDDA (che non ha bisogno di presentazioni) arriva nel momento in cui il mercato musicale soffre d’ansia da prestazione. Seguire determinate strade, portare risultati nelle vendite e riempire i club dove si eseguono canzoni dal vivo. Eppure EDDA paura di morire ce l’ha, e nella sua storia musicale è sempre riuscito a raccontare tutto questo con la musica, risultando finito tra solitudine e malattia, vecchiaia e abbandono. Messo all’angolo, gettato nello sconforto ma capace di risalire, lentamente da morto che odia i vivi, passando per una richiesta di farla finita, d’altronde stavolta come mi ammazzerai? Graziosa utopia è il capitolo meno confortevole, più irrequieto a tratti beffardo. Senza filtri, nudi all’interno di un bosco, forse rilassati e pieni di quieto vivere, ma tu in fondo lo sai, un giorno la tua paura più grande dovrai affrontare e c’è chi, fortunatamente qualche volta è morto per davvero.
Forse un giorno chiameremo questo periodo come la golden age dei nuovi parolieri made in Italy, quelli che fanno i dischi in Italiano e hanno un successo tale da spingersi fuori dal semplice circuito di amici di amici. Forse però, questa golden age un giorno, la ricorderemo come un semplice movimento fatto da copie e derivati che di album in album, portano il livello complessivo della musica scritta e cantata in Italiana, a qualche passaggio radiofonico e nulla più. Non abbiamo una sfera di cristallo per capire il futuro e spesso non ha senso nemmeno trovare la consapevolezza per cogliere tutto del presente, mentre il passato ci lascia troppe domande e poche sicurezze. Giorgio Poi fa parte della scuderia Bomba Dischi (che sì, è quella di Calcutta, Pop X e ciò che tocca diventa oro dopo anni di gavetta) quindi le probabilità di un successo annunciato erano decisamente alte. Navigando e ricercando informazioni, si leggono fondamentalmente le stesse cose: i richiami a Battisti, il fatto che ha vissuto all’estero, che le canzoni sono agrodolci eccetera eccetera. Un sincero copia-incolla di testata in testata, per interviste che puntano sempre su questi tre aspetti perchè l’ufficio stampa ha lavorato molto bene quindi a scatola chiusa il disco funzionerà. Il problema che questo – Fa niente – è leggermente più complesso di un lavoro dedicato a un grande pubblico. Non è di facile comprensione, non c’è quel ritornello capace di finire su tumblr poichè scritto sui banchi di una scuola superiore e la ricerca musicale è quanto di più innovativo prodotto da un artista Italiano negli ultimi anni. Ballate malinconiche, sperimentali e seguaci delle nuovo correnti pop estere, tropicali e piene di strutture complesse. Insomma, nell’epoca dove finire cover di qualche ragazzina su youtube diventa importante come termometro della propria musica, mi sono reso conto che tra qualche anno ok, parleremo della golden age Italiana e citeremo originali, copie e derivati, però una volta che le ragazzine di youtube avranno fatto il loro primo disco ufficiale, ci ricorderemo di Giorgio Poi, perchè in qualche modo, oltre a essere incanalato in una struttura fin troppo congeniale ha saputo scrivere quello che stavamo aspettando da tempo ovvero un disco cantato in Italiano che si può, finalmente, ascoltare anche all’estero. Scusate ma questo non è mica scontato.
Sono passati due anni. Quasi due anni facciamo. Stava per terminare il 2014 e da una casetta di Via Santo Stefano, nel centro storico di Bologna prendeva vita il primo disco di Osc2x. Sì perchè è stato il lavoro di una vera e propria adolescenza quello di Vittorio; prima le esperienze nei gruppi punk, poi tra una sala prove e qualche concerto, la consapevolezza che quello sfogo notturno nato in una stanza di Via Andrea Costa potesse diventare qualcosa in più. Fin da subito c’è stato Luca (che per noi è Jean Luc) alla batteria, perchè in fondo è il migliore su questa terra a farlo ma soprattutto perchè è sempre stato al fianco di Vittorio nelle precedenti esperienze musicali. Da Via Andrea Costa a Santo Stefano, uscendo dal grembo materno e cantando di quello che passa per la testa di un ragazzo attraverso le gioie e i dolori dell’adolescenza. Canzoni divertenti con un lato emotivo, ballabili, migliorabili però sincere, autentiche. Un lavoro durato cinque anni, passato davanti a una potente scrematura (sì, voleva fare il doppio disco con 30 brani) e che ha preso forma come se fossimo diventati tutti dei grandi professionisti. È arrivato il tour, un sacco di concerti, poi la televisione, sicuramente molti di voi ma alla fine dei conti, noi siam sempre questi e in attesa del prossimo imminente capitolo (un disco post-adolescenziale è qualcosa di tremendamente difficile da gestire) e visto il compleanno del nostro collettivo di persone ci sembra il minimo potervelo regalare, per qualche ora, forse per qualche giorno. Sicuramente dietro c’è un lavoro che non potete capire ma soprattutto ci sono storie che facciamo fatica a raccontare.
È forse uno dei dischi più attesi dell’anno, sicuramente abbiamo perso il conto delle volte che ci siamo scaldati con la sua voce nelle precedenti esperienze musicali. Anche Sampha ormai è diventato grande e con Process dimostra tutta la sua intima e personale malinconia in quello che può definirsi un modo coraggioso per viaggiare dentro il proprio cervello, scavando nei luoghi più oscuri per poi un giorno sì, vedere la luce.
Abbiamo idea di quanti dischi escono lungo 365 giorni in Italia? E nel resto del mondo? Stilare classifiche non solo è parecchio difficile ma piuttosto fuorviante verso l’intento principale dei bilanci di fineannochefannovisitealsito ovvero, scoprire musica. Abbiamo chiesto a una banda di amici, professionisti e non, sicuramente appassionati di musica, eleganti, raffinati ma pur sempre possibili raver nascosti.
FRANCESCO BENTIVEGNA
Musicista, attore, dottorando e principessa del dancefloor, a 26 anni crede che il futuro sia nell’intelligenza artificiale e il websex.
Blood Orange – Freetown Sound
Nicolas Jaar – Sirens
ANDREA JAMES COLGAN
The Last Shadow Puppets – Everything You’ve Come to Expect
Durante i primi ascolti non mi ha convinto subito, forse troppe aspettative, ma dopo qualche giro sul piatto ti viene solo da pensare ad un cosa: Alex Turner è il più grande talento inglese degli ultimi 10 anni.
The Lemon Twigs – Do Hollywood
I fratelli D’Addario, 19 e 17 anni, incarnano il sogno di tutti i musicisti, avere a disposizione uno studio (del padre) dove suonare per ore con tuo fratello, scambiandosi gli strumenti, alternandosi alla voce e ascoltando i dischi di Beatles, Beach Boys, Big Star ecc..
Anderson .Paak – Malibu
Bellissimo disco r’n’b/soul con diverse incursioni nell’hip-hop della west-coast.
Car Seat Headrest – Teens Of Denial
Questo disco, ed in generale l’opera omnia del mio coetaneo Will Toledo, è un’epifania per chiunque scriva o abbia mai provato a scriver canzoni.
Frankie Cosmos – Next Thing
La leggerezza e l’indolenza di queste brevi ed ispiratissime microstorie twee sono probabilmente la cosa che più ricorderò volentieri della primavera di quest’anno. Sappho, forse, canzone dell’anno.
Noname – Telefone
Il 2016 è stato un grandissimo anno per il rap: sono usciti davvero tanti instant classic che diventeranno canone e che stanno velocemente ridisegnando e plasmando le grammatiche del genere. Tuttavia, nell’anno di Kanye e Chance, questo piccolo album è il mio disco hip hop dell’anno. Noname è una ragazza che ha un anno più di me, viene da Chicago, sembra abbastanza timida e, oltre a fare musica, scrive poesie. Prendendo in prestito le parole del mio amico Samuel, penso (spero?) che questo album avrà un’influenza importante nel rap americano dei prossimi anni.
FEDERICO SCAGLIA
La voce nella musica mi da fastidio, quindi cerco di ascoltarne il meno possibile; non l’ho fatto apposta ma i tre album sono riconducibili ai tre væz con cui suono.
Album Leaf – Between Waves
loro erano in una super playlist che mi ha iniziato alla musica elettronica fatta da Yed nel 2012, ho provato a deviare questa compilation su di lui che è il̶ ̶r̶e̶ la regina delle compilation, ma non c’è stato niente da fare.
Autechre – elseq 1
grazie a padre frediani.
Massive Attack – Ritual Spirit
aggiunto da Riccardo Montanari alla playlist B∑LIZ∑ su Spotify” -il giorno stesso che è uscito ovviamente.
MARCO MAIOLE
Marco Maiole pensa di musica da quando pensa. Passa gran parte del suo tempo a guardare video di synth e di macchine fotografiche, studia economia – ogni numero imprecisato di mesi, decide di chiudersi in casa e registrare un disco. Ha intenzione di comprare delle scarpe non sportive.
Gold Panda – Good Luck and do your best
I Cani – Aurora
Kanye West – The life of Pablo
RICCARDO MONTANARI
Yoni & Geti – Testarossa
Perchè contiene la canzone che ho forse ascoltato di più quest’anno (Madeline) e poi, non so a voi, ma la voce di Yoni Wolf mi fa passare l’ansia.
Glass Animals – How to be human Being
Perchè è fresco, sincero, ha ritmo e anche sentimento. Ok, forse non supera l’esordio Zaba, ma sono ragazzi che vale la pena seguire e supportare, perchè faranno musica sempre più bella.
Afterhours – Folfiri o Folfox
Voom vooom scooteroni
Scoo scooteroni
Voom scooteroni
Scoo scooteroni
Sgaso sopra di te, rispetta i campioni
ALESSANDRO ZAGHI
Gaika – Spaghetto Ep
Metto Gaika anche se dovrei mettere Skepta che con il suo ultratestosteronico Konnichiwa ha vinto a man bassa il Mercury Prize 2016. Skepta che, osannato da stampa e siti di settore dopo la premiazione, incredibilmente non è stato cagato di striscio al momento in cui quegli stessi media – in particolare i pettinatissimi Pitchfork o Fact – hanno stilato il listone di fine anno. Dovrei mettere Skepta ma ho messo Gaia che con il suo lavoro dal titolo dubbio è entrato sulla scena a gamba tesa così come Danny Brown, suo compagno di scuderia Warp Records. Menzione d’onore, sempre restando sulla scena hip-hop e derivati, va al ritorno dei A Tribe Called Quest con il diamante We Got It from Here… Thank You 4 Your Service.
Anhoni – Hopelessness
Il mio album preferito nella categoria bestsellers di quest’anno – in cui butto dentro Radiohead, Beyoncé, Jaar e via dicendo. Un disco prezioso, che segna la nuova vita di Antony Hegarty, questa volta affiancatA (la A maiuscola è d’obbligo) da Oneohtrix Point Never e Hudson Hudson Mohawke, due producer agli antipodi creativi, fra più interessanti della scena elettronica contemporanea. Il risultato è un mosaico perfettamente fruibile, che unisce una fra le voci più riconoscibili degli ultimi vent’anni con le sperimentazioni di Oneohtrix e i synth piacioni e un pò zarri di Hudson, di cui si consiglia accoratamente l’ascolto di Lantern, un album figata vera.
Amnesia Scanner – As
Il disco del duo berlinese è un capolavoro, un fiore nato dal terreno Autechre concimato dal meglio dell’elettronica moderna – un pizzico dell’atmosfera Forest Swords, uno rubato dal sequencer trance di Lorenzo Senni, insieme al tocco hip-hop à la Claims Casino. L’etichetta è Young Turks e si sente, la stessa di Jamie XX e SBTRKT, che spinge gli Amnesia Scanner a portare AS più verso il pubblico che dentro una rete IDM senza fine. Le condizioni psico-fisiche non mi hanno consentito di arrivare in tempo alla sala gialla del Club To Club per assistere al loro live, inchiodato com’ero alla cassa dritta di Laurent Garnier, ma si spera che una seconda chance arrivi alla svelta
LORENZO SALMI
Conoscitore del mondo dalla sua prospettiva meno colorata; amante del Sud America e di tutti i suoi riti sciamanici. Prova quotidianamente a mettere sotto pressione la sua pazienza indagando i mille difetti che circondano la sua costante ricerca della felicità. Non trovandola, quasi mai, vive per riflettere la sua retrospettiva nel suo taccuino del iphone (sempre con se). Attualmente si occupa di ricercare i talenti della musica e della cucina quasi a combattere la sua incapacità nel suonare uno strumento e nel sapere cucinare un piatto diverso dagli spaghetti alla carbonara. Collezionista di dischi, vivace clubber e festival addicted. Tutto il resto riassumibile in “Faccio cose e vedo ggggente”.
Badbadnotgood – IV
James Blake – The colour in Anything
Dengue Dengue Dengue! – Siete Raìces
NICOLA NESI
Radiohead- A moon shaped Pool
Per un puro sentimento eterno
Solange- A Seat at the Table
Per la vitalità e la dedizione dell’artista in una situazione familiare non super comoda.
Anohni-Hopelessness
Perchè non me lo aspettavo.
MARCO CANTELLI
NAO – For All We Know
Se una ragazza, oltretutto mia coetanea, oltretutto con dei capelli fantastici, è capace di conquistare la costa statunitense che amo di più (quella West, ovvio) venendo da East London… beh, ha tutti i requisiti necessari per essere il disco del 2016 che ho probabilmente ascoltato di più. Il funk di Get to Know Ya fa-muovere-i-piedini, Adore You è non soltanto il mio pezzo preferito ma il miglior proseguimento di ciò che dovrebbe essere la musica d’Oltremanica: magia, racconto, ispirazione.
Alunageorge – I Remember
I gruppi buoni li riconosci spesso dal secondo disco, migliore del primo. Londinesi anche loro, è un duo che amo perché riesce a essere maraglio nel modo giusto, facendo dell’rnb che i Nineties tremano con basi elettroniche devastanti da dancefloor. I Mean What I Mean è quel ti vergogni – ma per un cazzo! -, che era dai tempi di Crazy in Love che non mi sentivo così.
Flume – Skin
Il problema di ciascun anno è che a Dicembre ti sembra lunghissimo. Forse è per questo motivo che ci ho messo un po’ a scegliere Skin come terzo disco della lista: un disco stra-consumato per tutta l’estate può sembrarti datato. Ma quello del produttore 24enne australiano (la roba migliore arriva sempre da lì) è uno dei se non Il capolavoro pop dell’anno: quando scegli dei feat. clamorosi come Kai, Kučka, Vic Mensa, AlunaGeorge, Little Dragon, MNDR, Tove Lo e Beck (!) non può che uscirne un gioiello. Intenditore che hai storto il naso, raddrizzatelo: la parte migliore è, probabilmente, la “solitaria” Wall Fuck.
FRANCESCO CAGGIULA
“Il calcio è una metafora della vita” diceva Jean Paul Sartre. Io cito a mio piacimento questo aforisma e lo riciclo ogni volta che devo introdurre un discorso che altrimenti non saprei come introdurre. In questo caso, mi piace pensare che i tre i miei tre dischi preferiti del duecappasedici rappresentino il mio tridente offensivo, la mia arma letale per scardinare le difese più arcigne – aka la nebbia dell’autunno bolognese, la noia delle sette ore delfrecciabianca Bolo-Lecce e gli aperitivi in spiaggia con 38 gradi – dell’anno che ci sta per salutare. In tutto ciò, ho tolto la tuta d’allenamento e indossato il completo elegante per la finalissima. Finito il discorso di consolazione agli esclusi, vado a caricare il mio tridente offensivo.
Whitney – Light Upon The Lake
Il brio e la frizzantezza di chi vuole dimostrare di poter reggere la pressione del salto dal una piccola – gli Smith Westerns, band in cui militavano Max Kakacek e Julien Ehrlich – ad una grande piazza.
Diiv – Is The Is Are
Dopo lo stop forzato, causa doping (ero), Zachary Cole Smith torna con il peso sulle spalle di chi deve bissare una stagione – l’esordio Oshin – costellata da una miriade di goal. Ci riesce alla grande, superando ogni record e ogni più rosea previsione.
Local Natives – Sunilt Youth
Numero(i) 10 fuori ruolo che comunque riesce a sfornare prestazioni degne di nota. Addentrati in sperimentazioni relativamente lontane dalla loroconfort zone compositiva, i quattro di LA hanno sfornato ancora una volta un’infinità di assist, aprendo nuovi orizzonti di gioco e sperimentazione. Nella ricerca continua di rivoluzionare un genere che spesso inciampa nell’autoreferenzialità, abbiamo ascoltato un disco che, nonostante le nuove sonorità più elettroniche, non abbandona l’animo pop del quartetto californiano.
DAVIDE TRAINA
Ascolta sempre musica, di solito disegna, ogni tanto scrive.
Birthh – Born in the woods
Motta -La fine dei vent’anni
Modern Baseball – Holy Ghost
PIETRO RACHIERO
Piccolo fabbricatore di aspettative e accumulatore di un indeterminata serie di delusioni, impiega ¾ del tempo a pensare sulle cose e il tempo rimanente a cercare di metterle in atto, quando forse, ormai, è troppo tardi. Vince per 4 anni consecutivi il premio miglior attore non protagonista della propria vita (2011- 2014); un film senza troppi colpi di scena ma da un frenetico alternarsi di alti e bassi, ricco di una coloratissima e analgesica colonna sonora, letture confuse e pessime bottiglie di vino.
Motta – La fine dei vent’anni
Anohni – Hopelessness
Nicolas Jaar – Sirens
FILIPPO ZIRONI
Be a Bear, bolognese dalla personalità poliedrica e dallo stile goliardico, un progetto originale e divertente, semplice ma efficace. Canzoni dal sound elettronico associate a immagini ben selezionate che diventano la “voce” dei suoi brani. Far sorridere, far riflettere, far fluire energie positive gli obiettivi…vi sembrerà di sentirla con gli occhi la pioggia!
Radiohead – A moon shaped pool
Forse l’album più bello dopo Kid A, c’è sempre qualcosa che mi spiazza nei loro lavori. Violini, pianoforti. È sempre un piacere ascoltare Thom York e compari!
Cosmo- L’ultima festa
Quanti lunedì mattina andando a lavorare ho ascoltato a ripetizione “un lunedì di festa”?! Semplicemente un lavoro dove tutto quadra. Qualcosa di nuovo nel panorama musicale italiano.
The Last Shadow Puppets – Everything You’ve Come to Expect
Quel cazzuto di Alex Turner è tornato con i suoi Last Shadow Puppets e io avevo una gran voglia di riascoltarli!
LUCA JACOBONI
Speaker di Radio Città del Capo, numero 10 sul campo da calcio, voce sexy, musicista nei Baseball Gregg e prossimo vincitore del festival di Sanremo condotto in coppia con Dolcenera.
I Cani – Aurora
Salmo – Hellvisback
Drake – Views
TEO FILIPPO CREMONINI
Nato quando fuori pioveva, in molti discutono della sua esistenza, sicuramente rompe i coglioni e mangia ogni tanto tortellini.
Kaytranada – 99,9%
Le sue gesta musicali forse non avevano manco bisogno di un disco, però il lavoro ha deciso di confezionarlo e per forza di cose è tipo una festa, dove ci si può anche non drogare però almeno ti devi ammazzare di sigarette + alcolici altrimenti non hai capito un cazzo.
(sì alla droga comunque)
Vince Staples – Prima Donna
Per rimanere impressi nella memoria quando ti chiedono i dischi dell’anno, con la montagna di musica che viene buttata fuori, devi anche saper creare una sorta di estetica ben riconoscibile e avere quel qualcosina in più da raccontare nella vendita del disco. Prima Donna viene un anno dopo il brillante Summertime’06 accolto da critica e pubblico, ma in questo lavoro oltre a rosicchiare ulteriori posizioni tra gli addetti ai lavori, Vince Staples si prepara alla consacrazione definitiva globale. La produzione di James Blake, i featuring giusti, Def Jam Recordings e pure un cortometraggio: tutto qua dentro, tutto memorabile.
YG – Still Brazy
Basta con ste stronzate della nuova era hip hop, a me piacciono ancora i dischi cruenti che suonano così vintage e sono in grado di darti dell’obsoleto per il modo in cui muovi la testa. Non è un disco fantasioso ma in fondo ci siamo rotti anche il cazzo di fingere che ci piaccia tutto. Politicamente diretto, fuck Donald Trump, poche idee, fatte bene e scusate se è poco.
FEDERICO CESARI
Meglio noto come PHTL, lavora tutto il giorno, dipinge, scrive e qualche volta pensa. Non ama particolarmente gli hipster ma è grande fruitore di trend.
Anohni-Hopelessness
Badbadnotgood – IV
A Tribe Called Quest – We Got It from Here… Thank You 4 Your Service
Sono quasi due anni che ragioniamo su come rendere al meglio un articolo del genere; ogni settimana vediamo concerti, conosciamo artisti e molte volte siamo noi stessi a scommettere su di loro. Molti di loro sono già conosciuti, altri invece sono appena usciti, qualcuno è proprio sconosciuto ma il filo conduttore è sempre lo stesso: artisti che non molti conosco, ma che tutti dovrebbe conoscere.
Nel corso del 2016 molte canzoni fanno parte delle nostre giornate. Di questo deve nutrirsi la nostra personalità ma soprattutto i gesti che svolgiamo nel quotidiano. Alcune ti ricordano l’amore, altre il lavoro, qualcuna serve solamente per non pensare o divertirsi con gli amici. Qualunque sia la vostra vita, c’è bisogno di una colonna sonora e noi, in questi 365 giorni abbiamo avuto anche queste. Sono 30, sono soggettive e mancano dell’artista x piuttosto che di quello y, ma in fondo non importante perché si tratta di un doveroso percorso, necessario per comprendere la propria persona. Mettere le cuffie, perdere un pomeriggio, magari scoprire, sicuramente ascoltare.
GOMMA – SOTTOVUOTO
BASEBALL GREGG – SAD SANDRA
COSMO – L’ULTIMA FESTA
I CANI – CALABI YAU
EX OTAGO – QUANDO SONO CON TE
CALCUTTA – OROSCOPO
POP X – SECCHIO
GIORGIO POI – NIENTE DI STRANO
FRAH QUINTALE – 2004
RKOMI – 180
MOTTA – LA FINE DEI VENT’ANNI
GIUNGLA – WRONG
BIRTHH – CHLORINE
MURUBUTU feat. RANCORE – SCIROCCO
FADE – WHY US
INUDE – HUDEA
KLUNE – TETRIS
SELTON – VOGLIA DI INFINITO
CANOVA – PORTOVENERE
JOLLY MARE feat. LUCIA MANCA – HOTEL RIVIERA
DUTCH NAZARI feat. CLAVER GOLD&DARGEN D’AMICO – CURA DI ME
AINÉ- LEAVE ME ALONE
AFTERSALSA – WHITE COLLAR
SORGE – BAR DESTINO
L I M – COMET
MODER feat. LADY JULSS – TRA I DENTI
BRUNO BELISSIMO – FRENCH RIVERA
THEGIORNALISTI – IL TUO MAGLIONE MIO
THE ZEN CIRCUS – NON VOGLIO BALLARE
LNDFK – Tell Me Why
Il mondo hip hop è stato quello che nel corso degli anni ha portato maggiori soddisfazioni nelle nostre vite, vuoi per la produzione di concerti dal grande successo, vuoi per la fortuna di aver scritto di persone che ora navigano su altri livelli e non si sono dimenticate di noi. In questo anno abbiamo perso molti dischi bellissimi, ma ora le ultime novità non possiamo perderle di vista soprattutto perché raccontano le parole di artisti a cui siamo legati affettivamente ma non solo. La ricerca è stato il pane delle nostre ambizioni, sogno dei nostri successi. Ora mettiamoci le cuffie, aspettiamo qualche minuto e leggiamo questi dischi, hanno un mondo dietro che non potete capire.
In questi mesi abbiamo ascoltato tanta musica per davvero. This is not a lost song è un grido di ascolto, una richiesta di dettagli e quello che non è mai stata una trasmissione piuttosto orrenda di metà anni 70 chiamata superclassificashow. Una lista di brani/dischi/artisti veramente indipendenti, veramente sconosciuti di ogni genere che abbiamo ascoltato. Non c’è una classifica e nemmeno dei voti, sono solamente dischi che non vanno nascosti, pronti a suonare almeno ancora una volta, più di una volta, forse tutti i giorni, nei vostri spazi e lungo i vostri pensieri. Qui soddisfiamo tutti gli ascoltatori quindi smettiamola con questi pipponi da leggere e mettiamoci subito con le cuffie ad ascoltare, poi magari supportate questi artisti, magari no. Vedete voi. This is not a lost song guys.
se vuoi saperne di più.
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BOLOGNA, 40100 VEZ.