Come perdersi nella Città Delle Persone

20 Agosto 2018,   By ,   0 Comments
Erano passate le 10:45 di una domenica d’estate e la mia amica Monica non si era ancora palesata all’appuntamento fissato alla pasticceria Dino.
Mi infastidiscono molto le persone in ritardo, lo confesso, ma per ragioni ignote, sembra che vada sempre più di moda non essere puntuali.
E poi tutto peggiora inesorabilmente quando sei da solo ad attendere in un luogo dove il dolce e il salato regnano sovrani dal 1963.
Nessun segnale, nessun messaggio, nessuna segreteria. Dove diamine era finita?
Non poteva essersi persa Monica, Monica abita a Castenaso, e comunque Monica non si perde mai.
Data la notorietà del bar c’era un costante via vai di persone che io mi limitavo a osservare silenziosamente, come faccio di solito, senza proferire parola alcuna.
D’un tratto una mesta combriccola d’anziani e un gruppetto di baldi giovani, peraltro capitanati da un soggetto con una pettinatura assai discutibile, iniziarono a fissarmi.
Mi guardavano strano, sembravano incuriositi, molto probabilmente si stavano prendendo gioco di me, o forse, si stavano semplicemente domandando: “Ma da dove cavolo è uscito questo inutile babbeo con la camicia di lino?”
D’altronde, io non sono abituato a questo tipo di situazioni. Sono nato in via Marsala, in pieno centro, in una Bologna di fine anni 80 dove il bar faceva spavento e dove per pubblico decoro s’intendeva sporcizia e spade più che spazi verdi.
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Passati alcuni interminabili minuti sotto il fuoco nemico e ormai convinto che Monica si fosse dimenticata di me (ma non della nostra amicizia), decisi di fare una colazione abbondante con due paste alla crema e un caffè doppio rigorosamente in tazza grande (My way).
Non sono un grande appassionato di macchine, lo ammetto: le macchine non mi interessano. Al massimo riconosco solo la Mercedes- Benz per via del logo e in più detesto guidare poiché mi crea forte ansia.
Quel giorno infatti ero arrivato in paese grazie all’autobus 99 che mi aveva lasciato al Municipio.
Per fortuna non era una giornata molto calda e l’idea di passarla parcheggiato in un bar mi lasciava abbastanza perplesso, forse perché avrei iniziato a bere e questo non volevo che accadesse. Almeno per ora, e comunque non per noia.
Decisi quindi di lasciare la Pasticceria Dino e m’incamminai.
Questa passeggiata senza destinazione destò in me del tenero ed immotivato entusiasmo, per quale motivo?
All’improvviso iniziai a ricordare di quella volta in macchina con nonno Alfredo.
Quel luccicante cartello all’entrata del paese.
Quell’immagine ancora vivida nelle mia memoria.
L’enigmatica scritta: Castenaso, Città delle Persone.
Mi fermai un secondo su via Nasica, il prosieguo della strada provinciale. Dovevo seriamente riflettere perché quel ricordo mi aveva tagliato completamente le gambe.
Credevo che il mio rapporto con il comune di Castenaso fosse esclusivamente legato a Monica, alla sua casa ,alle sue cene eleganti, alle grigliate estive in giardino. Mi sbagliavo: non era la grande amicizia con Monica l’unico nesso con quella ridente comunità di persone. Ecco, avevo trovato la risposta: io qui c’ero già stato e conoscevo tutto.
Infatti, a pochi minuti a piedi da me c’era il Parco Della Resistenza, una sorta di Kensington Gardens che storicamente delimitava il confine con Fiesso.
Ora è circoscritto dalla contrada Dante Alighieri ed è un’ oasi ricca di natura, percorsi vita e giochi per bambini. Un luogo pieno di vita.
Usciti dalla riserva si impone il magnifico Hotel House, dove adesso tutto il primo piano viene affittato per corsi di Yoga, attività molto in voga nel pubblico femminile fra i 17 e gli 80 anni.
Il tempo passava, e alle 12.45 ancora nessuna novità di Monica.
S’era ormai fatta ora di pranzo.
Ritengo che pranzare da soli al ristorante non debba essere visto come un gesto triste, anzi. Le persone che lo pensano probabilmente sono individui che hanno trascorso troppo tempo davanti alla televisione di Stato.
Pranzai quindi all Officina del Gusto senza inutili sorrisi di circostanza, maschere o conversazioni forzate e superficiali. Primo, secondo e dolce.
Procedendo convinto verso down-town e il Torrente Idice, attraversai il ponte blu pedonale “Rethymnon”, una bizzarra struttura di calcestruzzo e metallo inaugurata nel 2003.
Più avanti sulla destra intravidi il celeberrimo Negrini Stadium, campo del Castenaso Football Club, una pietra zemaniana della serie cadetta.
Erano le ore 15.30 e Monica continuava ad avere il cellulare spento, se fosse morta, d’altronde, il paese lo avrebbe saputo.
Volevo fare un riposino sotto gli alberi e sapevo già dove andare: 3 ettari di splendida vegetazione, antichi manufatti idraulici e un assordante silenzio, il Parco Della Rocca. Dormii come poche volte ho fatto nella mia tormentata esistenza da persona insonne. Ero incredibilmente felice.
Dopo il mio risveglio notai un cambiamento nell’aria. La gente iniziò a salutarmi ed io ricambiavo. Un bellissimo e incondizionato gesto di dare-avere senza avidità, invidia, soldi, vestiti e bottiglie.
Ancora non capivo come Savigno fosse la città del Tartufo (chiaro si mangerà tartufo) e Castenaso quella delle persone, ma questo non era più importante.
Castenaso non era più un semplice paese, era diventato un luogo dell’anima a tutti gli effetti.
Le persone con forte tendenza all’introspezione soffrono di più rispetto ad altre, però certi luoghi ti sfiorano il cuore e ti aiutano a sognare.
Castenaso per me era diventata pura speranza.
Non mi serviva più quello stupido Yoga tanto in voga nelle caotiche e affannose città metropolitane. Mi bastava semplicemente stare fermo ed osservare. Necessitavo di abbandonarmi verso la pura contemplazione di quella cittadina che qualcuno, a ragion veduta, soleva chiamare “Città delle Persone”.
Allora il mio passo si fece veloce e deciso verso Sud dove m’imbattei nellla Wimbledon di Castenaso, il celebre Casalunga Golf Club.
Un resort di prestigio, un audace percorso a 18 buche con la piscina, la sonorizzazione e i campi da tennis in erba. Badate, non quell’erbaccia sintetica, ma erba vera.
Già mi ci vedo un giorno con i miei compagni di merenda Ares, Cisco e Teo, tutti vestiti di bianco, magari con qualche chilo di troppo, giocare un doppio su quel tappeto verde.
Sogno interrotto.
Era giunto l’orario dell’aperitivo, destinazione Bar Centrale.
Ahimè o per fortuna potevo bere.
Dopo essere entrato con nonchalance, rivolsi il mio miglior sorriso ebete ai baristi e all’ennesimo gruppetto di anziani che giocava a TreSette: il tentativo funzionò brillantemente.
Sinceramente mi reputo un discreto giocatore di carte, ma ammetto di non aver avuto il coraggio di sfidarli. Sarebbe stato uno sforzo emotivo troppo grande. Non sono neanche riuscito a reggere il contatto visivo con quello che immagino fosse il loro esponente più in vista, così declinai pavidamente la sfida celata nei suoi occhi. Un po’ come quando ti dicono che se incontri un Grizzly sul tuo cammino l’unica cosa che può salvarti la vita é fissarlo negli occhi e non aver paura. Per me quel vecchio oplita macedone del TreSette era molto più di un Grizzly. Non ressi affatto quello sguardo pregno di rivalsa e mi accontentai della solita caraffa di spritz.
Ad un certo punto mi squillò il cellulare, era Monica che si scusava per il clamoroso ritardo.
Aveva passato le ultime 28 ore a litigare con il suo compagno, una prassi ormai solida e costante nella loro relazione.
Ho cercato al suo arrivo di consolarla nel modo più semplice e immediato: dandole un abbraccio. Ero un pò ubriaco e quell’abbraccio fu ancor più affettuoso.
Ho evitato di infierire sul ragazzo che da sempre la tratta male, anche perché non voglio più perdere il mio tempo a parlare di individui di cui non m’importa nulla.
La gente quando non capisce inventa e questo è molto pericoloso” scriveva Alda Merini. Io quando non capisco abbraccio.
Dico a Monica che il principe azzurro non arriverà mai a cavallo di un bianco destriero e né alla guida di una bella macchina o con un motorino truccato. Se arriverà, sarà a piedi, vestito male, stanco e con occhiaie funeree. Forse quel giorno pioverà pure ma non ci farete caso.
Allora mi avvicinai e le sussurrai all’orecchio:
Fidati cara Monica che per te quel giorno arriverà.
La vita è questa nella Città Delle Persone,
anche se a volte ci si perde.
T.Saragat

Le foto scattate sono state realizzate recentemente da alcuni professionisti del settore.


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