Perdersi nell’apatia è forse la pratica più consueta della nostra epoca. Tra social network, pubblicità, notizie che scorrono velocissime e stimoli, apparenti stimoli che arrivano di continuo. Viviamo consapevoli di finire le nostre giornate bulimici di novità, mancanti di calore e in una solitudine a cui non sappiamo tutti abituati. Qualcuno si spaventa, altri invece sanno trovarne essenza importante per sfuggire da una realtà che pericolosamente ci rende apatici, parte di un sistema che non ci renderà mai la giustizia che meritiamo. Arrendersi è la parte più matura del percorso, costruire una propria stanza dove rimanere immuni da tutto questo riesce a preservare un lato umano non indifferente. Chiudersi per poi salvarsi, proprio come un disco intimo che ha il coraggio di aprirsi traccia dopo traccia; Echopark dopo quasi 4 anni è riuscito a mettere tutto il calore degli esseri umani in una stanza, con l’onestà intellettuale di chi ha saputo ascoltare, osservare e capire. È forse fuggito da un mondo che continua a cambiare? A me piace pensare che ogni linea di questo disco sia un tentativo di resistenza, dalle mode, dal mondo ma soprattutto da quella stupida, consueta e sincera bestia chiamata apatia.