Purtroppo i concerti in streaming non salveranno la musica.

01 Giugno 2020,   By ,   0 Comments

Ormai tempo fa, Dario Franceschini (attuale ministro della cultura ndr) lanciava una soluzione semplice, un pò frettolosa e anche banale di un “netflix della cultura”. Tour nei musei, concerti in streaming e chissà quali dibattiti sul tema, più o meno stimolanti, sarebbero l’immaginario di questo progetto. Premesso che una piattaforma a pagamento che propone solo contenuti legati al mondo della cultura potrebbe essere un tentativo interessante non per sostituire la dinamica dei concerti o delle esperienze a contatto con la disciplina artistica, bensì per proporre un percorso parallelo. Pagare per vedere un concerto in streaming è cosa per pochi, troppo pochi. Recentemente Venerus ha tenuto un live meraviglioso in diretta su Dice TV; bellissimo, atmosfere pazzesche e esito a quanto pare molto soddisfacente. Ma purtroppo no, non è la soluzione per salvare il sistema perchè appunto, questo genere di operazioni premierebbe sempre e comunque chi ha le spalle coperte e una certa fanbase in grado di permettersi di pagare 5/7/10€ per acquistare un biglietto. È un buon palliativo, per pochi, ma resta un’idea priva di inclusione, ahimè, perchè già il sistema presenta molte falle senza quello che è successo negli ultimi tre mesi, figuriamoci adesso. L’idea che si possa ripartire da chi è in grado di avere un traino verso il potere d’acquisto delle persone è quanto di più sbagliato esista. Durante ogni settimana, nell’arco dell’anno solare, migliaia di progetti musicali, tecnici, fonici, grafici eccetera eccetera lavorano attorno a serate, piccoli e grandi palchi, con pubblico di passaggio, persone disinteressate o semplicemente curiosi. I loro punti di vista non rappresentano probabilmente il potere economico maggiore in questa industria assai debole, ma come andiamo ripetendo da diverso tempo, sono proprio coloro che seminano e aiutano a crescere il sistema dal basso, quasi formando le persone. Ci piacerebbe e quest’iniziativa potrebbe essere utile, pensare a una ripartenza in grado di non dimenticare gli ultimi e nemmeno quelli che stanno in mezzo; non è da un biglietto per medio/alti artisti che si riparte e non è da qui che ci si può considerare fautori di un tentativo di ripartenza. Sarebbe più interessante, investire in contenitori e non sui contenuti, creare scatole, grandi scatole, dove si possono racchiudere realtà, dove si deve raccontare tutto un percorso e dove il protagonista diventa subalterno a ciò che è stato creato. La rincorsa al darwinismo musicale è uno dei motivi per cui tutto il sistema rischia il collasso, anche se chiaramente, non siamo idealisti, sappiamo che chi ha raggiunto obbiettivi migliori, ha più possibilità, così come chi ha la possibilità di vendere 1000 biglietti per un concerto in streaming, fa bene a non restare fermo. Quello che spaventa però è la totale mancanza di progettazione dal basso e pochissime idee su come salvare spazi o piccole realtà che probabilmente non hanno la possibilità di sopravvivere nemmeno grazie a una raccolta fondi. Ecco, da qui, avrebbe senso ripartire o almeno, gridare alla soluzione per salvare l’industria, perchè dal punto di più basso della piramide ci sono proprio coloro che forse un giorno, ne saranno a capo. Se partiamo da più in alto, corriamo il rischio di lasciare indietro tante, troppe cose e in fondo, non possiamo ritrovarci a raccontarci di quanto siamo bravi quando non ci sarà più nessuno ad ascoltarci.


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