Non è più ciò che vogliamo.

15 Luglio 2021,   By ,   0 Comments

Una lunga estate, che non sembra finire mai, in cui rischiamo di perderci, dove partecipiamo e ci sentiamo soli. Una lunga estate sì, che non fa notizia, ma che perde per strada i pezzi e all’orizzonte il silenzio di chi non ci sarà più. Almeno quest’anno il turismo migliorerà, forse.

Quella strana sensazione che nessuno si renda conto che le cose non solo stanno precipitando, ma la famosa ripartenza ha lasciato, come sempre, indietro gli ultimi. Lo vediamo nei locali che provano a partire dal basso, senza grossi investimenti e lo maturiamo giorno dopo giorno leggendo la situazione culturale digitale di questo paese. Il sistema non solo sta permettendo di creare ancora più gap ma quello che resta in fondo, piano piano, sta maturando l’idea di mollare tutto. Così perderemo identità, opportunità e varie forme di arricchimento professionale, individuale e collettivo. Siamo spaventati e fragili davanti a tutto questo, l’entusiasmo non è quello dei giorni migliori e spesso ci si interroga su quale possa essere la soluzione. Guardare altrove sarebbe un modo semplice per scappare, ricostruire è impossibile, creare invece una necessità, che diventa missione nella misura in cui davvero operatori culturali e addetti ai lavori (che parola orrenda da usare scusate) continuano a sostenere un modello vicino al cortocircuito che sembra vivere di selezione naturale. Siamo i primi ad aver sbagliato nell’inseguire tutto questo, ma la consapevolezza di quante persone stanno rimanendo indietro fa spavento, solo che adesso, alla luce dell’ottimismo culturale che contraddistingue la nostra bolla e i sistema media, non fa più notizia raccontare la fine di questo spazio o l’aspetto psicologico di chi prova a lavorare in questo settore. Per sopravvivere dunque devi stare al modello che dovevamo abbattere, quello che davanti a una pandemia ci ha reso inutili e giustamente insignificanti. Perchè se continua la corsa alla statistica, al numero, al posizionamento, non solo la rilevanza del settore è sottostimata ma è anche incalcolabile/non quantificabile l’importanza della cultura nel nostro paese. Non può essere solamente una questione legata alle entrate nei musei, ai grandi eventi da migliaia di persone o al turismo che genera, qua si parla di identità e formazione. Consapevole o meno, non importa. Passiva o attiva nemmeno. La cultura deve essere un passaggio generazionale, deve essere in grado di capire il tempo e restare sempre viva, accessibile e personale. Non esiste cultura di serie a e cultura di serie b, non esiste uno spazio che funziona e uno spazio che non funziona. Non è quello che resta, non è quello che ci serve per non sentirci soli. Occorrono tutele per tutti, strumenti e idee applicabili dal basso verso l’alto, in grado di dare opportunità per restare vivi, davvero. Perchè i numeri passano, l’identità resta e noi, non possiamo permetterci di perdere nessuno.


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