Lo strumento più liberale e democratico del mondo – così mi hanno raccontato degli amici inseriti dentro – si è trasformato in una pattumiera. Nella propria filter bubble, il mondo sembra procedere in maniera autentica, da sogno. In realtà appena ci si sposta di qualche like o condivisione, si diventa bersaglio di altre filter bubble. Insomma internet democratico e bellissimo, ma qui abbiamo un problema. E metti la maglietta rossa, prendi like perchè hai la maglietta rossa, fai la battuta sulla maglietta rossa e prendi like, odia la maglietta rossa e diventi giusto. Lamentati perchè non hai un cazzo da fare, però che palle. Che palle il dover giustificare ogni volta che ti esponi, ma soprattutto che due palle il dover giustificare perchè ti sei giustificato nell’esporti. E se non ti esponi sei cattivo. E se la maglietta rossa non ce l’ho mi tocca andare a comprarla? Non so, qui di liberale e democratico non c’è proprio un cazzo. Quindi rispetto per chi mostra droga, bambini di 1 anno, culi, cazzo, tette, vagine, persone che stanno morendo, feci appena estratte dal culo, selfie con Eros Ramazzoti, cene di famiglia, bottiglie di vino, transessuali, travestiti e Padre Pio. Rispetto per chi lo fa senza pensare, forse sono proprio loro ad aver capito l’essenza di internet, vestite da giaguare o super unti in palestra.
In questi giorni mi ossessiono nell’osservare come nel mio recinto, mettere la maglietta rossa era un dovere social in cui credo anche io. Purtroppo però, appena ci si sposta un pochetto si diventa bersagli da fucilare in modalità 2.0, quindi non so, mi sa che sto internet qui funziona solo se parlo ai miei 4 amici e bevo 7 birre, altrimenti è proprio una merda. Io rilancerei mettendo le scarpe rosse, così da fare un percorso e arrivare a un lento e progressivo cambiamento, mica per convincere chi mi insulta, ma almeno per distruggere chi si giustifica. Altrimenti a forza di giustificare pure una maglietta rossa, si finisce per restare uno sbiadito ricordo proprio come quando finisce una bellissima relazione, dal giorno dopo, finisci dentro lo scatolone del cervello: ricordi. Eh già, Facebook ogni tanto ci invita a condividerli, ma io solitamente non lo faccio, metti mai che devo giustificare pure quelli.