Uno dei libri che mi ha maggiormente colpito nel corso di quest’ultimo anno e mezzo di vita, passato in giro per tutta l’Italia da Nord a Sud per un numero non precisato di giorni è stato quello di Jonathan Miles. Si chiama “Scarti” (edito minimum fax, compratelo) e uno degli aspetti principali del racconto è vedere come i personaggi fanno i conti con i propri compromessi, con le proprie difficoltà e soprattutto con le proprie paure grazie a una morbosa e sadica narrativa in grado di spingerli sempre più in giù con la differenza di riuscire sempre a dare uno sguardo speranzoso o più semplicemente una seconda occasione. Insomma, guarda bene cosa sta succedendo, si potrà finire più in basso, ma non è detto che questa sia la fine.
Negli ultimi tempi si parla molto del settore culturale in Italia e si leggono tante iniziative a cui, anche io in prima persona ho aderito con grande presa di coscienza, il punto però è guardare anche in faccia la realtà di ciò che è stato raccontato troppo spesso su questi social network o in generale nel modo di affrontare il dibattito sul tema degli spazi. Nei prossimi mesi, sarà di vitale importanza, sostenere le produzioni dal basso. Lo so, è ridicolo ripeterlo in modo ostinato ma è così: purtroppo da ogni crisi economica ne esce sempre meglio chi ha più strumenti rispetto ad altri.
Eppure la sfida non sarà scrivere una società culturale che salva i più forti o quelli che hanno lavorato meglio, ma soprattutto preservare gli spazi piccoli, le manifestazioni per pochi, i luoghi che danno un senso di appartenenza o identità a coloro che decidono di frequentarli. C’è molto differenza in termini di numeri, potenza economica o semplicemente di lavoro, lo sappiamo tutti perfettamente. Molti spazi hanno volontari, sono associazioni, per molti può non essere visto come un lavoro principale e molti di questi sono invisibili per il modello di stato con cui siamo cresciuti. È importante parlare di questo perchè ho la triste sensazione, che ci stiamo dimenticando un meccanismo fondamentale per tutta l’industria, ovvero quello più fragile ma anche il più florido. Il grande campo pieno di scarti, dove ci si trova per attività sociali e culturali, dove gira ancora meno economia rispetto ad altri luoghi, ma dove si costruiscono le persone.
Perchè come i protagonisti del libro di Miles, nella seconda occasione e nella speranza non c’è una via d’uscita che sarà in grado di liberarli dal loro essere ingranaggi della macchina sociale ma se non altro, però, possono rendere quella macchina un posto migliore.