Un giorno d’estate, un fuorisede

Ho finito gli esami della sessione estiva l’ultimo martedì di luglio. Ho accettato un ventitré striminzito in Politiche della Popolazione e qualche giorno dopo, giusto il tempo di salutare i compagni di corso, sistemare la mia singola e stipare di vestiti sporchi un borsone, ho preso posto nel vagone otto di un Intercity diretto a Bologna Centrale. Alle stazioni che risalgono lo stivale incrocio lo sguardo con i miei omologhi sul binario opposto. Treni zeppi di studenti cui spetta un’estate di mare, riso patate e cozze e albe sulla spiaggia mentre i miei compagni di carrozza sono per lo più vacanzieri di luglio con lo sguardo grigio di chi lunedì tornerà a lavoro. Sei ore e cinquantaquattro minuti dopo, scollato il mio sedere dalla pelle blu del sedile, mi dirigo verso l’Autostazione dove la corriera 442 mi conduce finalmente a casa.

Sono al primo anno fuoricorso della triennale di Scienze Statistiche all’Università Aldo Moro di Bari ed ogni estate, i primi di Agosto, affronto questo viaggio per tornare a casa. Mentre tutti i fuorisede d’Italia si apprestano a scendere giù, io come un salmone viaggio a ritroso e torno a casa, a San Marino di Bentivoglio. Scendo dall’autobus alle 17.10, c’è un caldo infernale e un concerto di cicale e tortore. Per strada nessuno, e mentre l’autista, ormai solo, prosegue la sua corsa verso Saletto io decido di non passare subito a casa ma di andare prima a Villa Smeraldi. Per strada penso a come ci si debba sentire a guidare una corriera con nessuno a bordo, nessuno alle fermate, nessuno che ti chieda un’indicazione.

La bellezza del parco della Villa è immutata, quanto mi erano mancate le tartarughe del laghetto, i vecchi attrezzi agricoli del Museo della civiltà Contadina, la ghiacciaia, la maestosità dei grandi tassi ai lati del vialetto. Due ragazzi giocano fiaccamente a pallone, una mamma raccoglie le sue cose e urla ai bambini che è ora di andare, si torna in città dopo un tuffo nel verde. Esco dal lato del Pomario, un frutteto che raccoglie un centinaio di varietà antiche di alberi da frutto e mi perdo tra i filari alla ricerca del melo Ruggine che qualche amico mi aveva regalato l’anno della maturità, ma il tempo deve aver lavato l’inchiostro dai cartellini. Una volta a casa ricordo che i miei non saranno di ritorno prima delle 20.00, allora scendo in cantina ed inforco la mia vecchia mountain bike impolverata in direzione nord, scalo il ponte sul Canale Emiliano Romagnolo simulando, come il me bambino, una volata sui Pirenei tra Virenque e Chiappucci con arrivo trionfale al bivio per Bentivoglio. Ovviamente con la maglia a pois sulle spalle. Sulla destra quella che per me rimane la più bella cappella del Bolognese, il Chiesolino delle Barche, dove in una sera di maggio di una quindicina di anni fa ricordo di aver partecipato con mia nonna ad un suggestivo rosario. Le cicale si placano, l’ombra della bici proietta un velocipede di fine ‘800 e nell’aria un forte odore di melassa, qualcuno ha già iniziato ad estirpare le barbabietole.

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Scivolo veloce verso Saletto, a destra la Chiesa di San Fosco, sfondo dei miei pomeriggi di bambino a casa del mio migliore amico, seguita da un cimitero sconsacrato fonte di macabre fantasie infantili. Le gomme tassellate passano agili dall’asfalto ad una stradello sterrato incastonato in un bosco di olmi, farnie e frassini. Sono all’Oasi La Rizza, oggi una riserva naturale dove tra aironi, beccaccini ed anatre si pedala nelle ex risaie bentivogliesi e si riescono ancora a sentire i canti delle mondine, chine a trapiantare piantine di riso con l’acqua a mezza gamba. Ed ecco che qualche istante dopo le mondine pedalano con me, col loro cappello di paglia ed il fazzoletto legato in testa mentre rientrano dai campi, immortalate in una scultura in ferro davanti al viale d’ingresso dell’Ospedale di Bentivoglio.

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Una chiatta sul Canale Navile mi porta agli inizi del secolo scorso, il Mulino di Ponte Poledrano è ancora in funzione e gli agricoltori guardano il loro frumento diventare farina montando un asino che tira un carro. Poco più in là il Marchese Pizzardi osserva i lavori da una finestra del suo splendido Palazzo Rosso, gioiello in stile liberty dove spicca la sala dello Zodiaco. E sull’altra sponda del fiume i suoi operai proseguono nella ristrutturazione del Castello. Ha acquistato anche quello, il Marchese, la Domus Jocunditatis voluta sul finire del XV secolo da Giovanni II Bentivoglio per farne una tenuta da caccia e teatro del primo incontro tra Lucrezia Borgia e Alfonso D’Este. Torri merlate, grandi stanze affrescate, ponti levatoi…robe che se fossimo in America ci sarebbe il biglietto d’ingresso a 15 dollari e pure il gift shop con le magliette personalizzate.

Chissà quante volte ci sono passato davanti senza nemmeno farci caso, forse l’andare a vivere lontano mi ha fatto apprezzare quanto di bello avessi intorno. O forse ha ragione Pirandello a dire che “vale più una pietruzza in patria che un regno fuorvia”. Questa sera andrò alla Trattoria Le Stelle ed ordinerò delle tagliatelle al ragù, quest’estate non mi muoverò da qui.

Andrea “Orto” Ortolani


Le immagini sono state scattate da Andrea Ortolani durante una di queste giornate estive. Lui suggerisce di guardare anche Bentivoglio e dintorni dove c’è del gran materiale in realtà


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