Abbiamo delle proposte per la città di Bologna

In queste settimane, ci siamo chiesti cosa sarà del settore culturale nel breve termine soprattutto quando tutti gli altri settori si apprestano a tornare al lavoro e a una vita simile a quella che avevano lasciato qualche tempo fa. Molte idee girano nel mare di internet, con progetti più o meno realizzabili e visioni condivisibili, noi invece siamo voluti partire dal territorio della nostra città che conosciamo maggiormente per immaginare, come legare attività, pensieri e idee, non solo al fine di rendere l’individuo soddisfatto, ma di far accrescere una sensibilità collettiva sulla tematica dell’intrattenimento culturale. La nostra città ha la grande fortuna di poter vivere in un continuo melting pot di storie, sfumature e persone, necessarie per coltivare il tessuto sociale e progredire in tutte le attività commerciali; non esiste lavoro senza potersi svagare e non esiste la possibilità di svagarsi senza lavoro, così come non esiste una cultura di serie a e una cultura di serie b legata alle attività di intrattenimento di piccole o grandi realtà.

Ci vuole quindi, una città in grado di soddisfare i bisogni di socialità, lavoro ed ecosostenibilità sempre e comunque nel rispetto della sicurezza collettiva. La manovra di pensiero creativo spesso si limita alla situazione in cui stiamo vivendo e molte volte capita di fermarsi, intimoriti di quello che potrà essere o meno la fattibilità della proposta. In questo progetto, abbiamo voluto lanciare qualche input, adattabile a quelle che saranno le regole imposte e aperto a ogni soluzione di collaborazione da parte delle realtà più attive del territorio attraverso la propria formazione culturale. La nostra è una sfida rivolta prima di tutto a noi stessi, che come tante persone, hanno bisogno di poter immaginare un nuovo modello per l’intrattenimento culturale del nostro tessuto urbano.

NB: non siamo architetti, ingegneri o urbanisti, sappiamo che ci potrebbero essere delle criticità in quello che abbiamo presentato, magari lo cestiniamo, magari lo adattiamo, sicuramente dobbiamo discuterlo.

“Un rione è una suddivisione territoriale interna a una città o a un centro abitato, delimitata da confini più o meno precisi e dotata di caratteri propri che ne sottolineano l’identità (dal punto di vista geografico, storico, sociale, economico, ecc.).”


Partendo dal concetto di rione, più volte oggetto del dibattito nelle ultime settimane, abbiamo simulato la città divisa in 12 rioni diversi; sarebbe bello immaginare ogni rione con la propria proposta, con le proprie caratteristiche e con i propri spazi. Questa nostra immagine/divisione non è definitiva e non implica la nostra idea, quello che vedrete è uno stimolo, ma noi abbiamo già lavorato a un progetto ancor più delineato.


BARCA • BOLOGNINA • CORTICELLA • COSTA SARAGOZZA • MAZZINI • MURRI • PILASTRO • SAN DONATO • SAN FELICE • SAN MAMOLO • SANTO STEFANO • UNIVERSITARIO

Pattern HMCF

Viviamo nella città delle torri, anche perchè un tempo erano quasi 100, ora ne sono rimaste 24. Fanno parte dell’identità della nostra città, rappresentano una delle istituzioni locali insieme ai portici e per noi sono un segno chiaro e identificativo di Bologna.

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In un momento del genere, la ripartenza culturale può partire dal senso di comunità. Dalle piccole e grandi realtà che nel corso di tutto l’anno svolgono attività sul territorio e hanno la conoscenza degli spazi ma non solo, spesso formano persone e rappresentano sfumature della società. 

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Siamo partiti dalla possibilità tanta discussa di sviluppare il concetto di rione per la nostra città e questo è una delle basi su cui costruire le idee per il futuro prossimo; tanti rioni per noi significa non solo quartieri, ma diverse personalità, associazioni di luogo e realtà artistico/culturali.

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Le comunità vanno riempite d’idee, manifestazioni e la loro sopravvivenza nel corso del tempo parte anche dalla necessità di sapersi rinnovare sempre. Le comunità restano vive se hanno la forza di cambiare e la presunzione di poter crescere internamente nella consapevolezza delle loro persone. 

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La città ha bisogno delle sue comunità, ma le sue comunità hanno bisogno della città. Serve scontrarsi per moltiplicarsi, senza mai dividersi. Dall’incontro tra comunità e città, nasce il nostro progetto.

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La nostra idea si chiama PATTERN. Le comunità si aprono alla città e si legano. Pattern è un termine inglese, di uso diffuso, che significa “disposizione”. Tuttavia viene utilizzato per descrivere, a seconda del contesto, un “disegno, modello, schema, schema ricorrente, struttura ripetitiva” e, in generale, può essere utilizzato per indicare la ripetizione di una determinata sequenza all’interno di un insieme di dati grezzi oppure la regolarità che si osserva nello spazio e/o nel tempo.

1.2

2

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2.2

1.3

2.5

1.4

Quindi perché una città secondo il modello PATTERN?

Sono una realtà attiva nella cultura cittadina

Ho la possibilità di proporre contenuti in sicurezza.

Sono un’attività commerciale restata chiusa due mesi

Ho la possibilità di ampliare le mie possibilità oltre la mia struttura.

Sono una persona che ha bisogno di svagarsi dopo aver lavorato

Possono soddisfare il mio bisogno in sicurezza senza rinunciare a musica, teatro e cinema.

Sono il quartiere Pilastro

Posso far conoscere la mia storia, le mie persone a un numero di persone superiore.

Pattern è condivisione. Pattern è green. Pattern è sicuro. Pattern è creativo. Pattern è semplicemente l’idea di una città aperta.

3.3

Ok, però senza eventi come potrebbe funzionare quest’applicazione? C’è qualche contenuto extra? 

Come attività extra, abbiamo pensato per ogni rione di raccontare la propria identità con delle sculture che grazie a PATTERN avranno la possibilità di farti accedere direttamente con il telefono ad audiolibri, contenuti musicali extra realizzati nella zona o scritti informativi sulla storia del rione.

Questi contenuti possono essere realizzati e coordinati ogni settimana da varie realtà, scrittori o musicisti. Magari recuperando registrazioni passate, scritti inediti e aneddoti di strada. In foto abbiamo messo Piazza San Marco a Venezia dove qualche giorno fa è apparsa la seguente scultura. Immaginateci un QR code che grazie all’applicazione PATTERN ha la possibilità di svelarvi i contenuti del rione in questione.

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Vi facciamo un esempio di contenuto editoriale che si può scaricare grazie a PATTERN?

A Bologna di mattina quando nessuno se l’aspetta c’è molta nebbia. Il cielo è grigio ma non scuro, consapevole che con il passare della giornata in qualche modo uscirà il sole. Nell’ultima periferia cittadina, a pochi passi dai centri commerciali e dalle prime frazioni in provincia lo spazio temporale viene tagliato dai mezzi pubblici e dal silenzio che lo smog accresce parallelamente al traffico. In fondo al quartiere San Donato, nella parte Nord-Est della città sorge il Pilastro quello che storicamente oltre a essere il primo contatto con l’area metropolitana può considerarsi uno degli organi più importanti della popolazione locale. (continua a leggere…)

Questo per il rione San Donato dove sorge il Covo Club e puoi ascoltarti il concerto dei The Drums del 2010 e leggerti un racconto del quartiere del 2016, ma non solo. Tante sono le personalità e le associazioni che si muovono nei rioni durante tutto l’anno e rendono il tessuto sociale attivo e identificativo all’interno degli spazi.

Quindi per farla breve per noi che abbiamo letto tutta sta roba: PATTERN è un applicazione in grado di farti prenotare agli eventi, farti girare la città nel rispetto dell’ambiente, darti la possibilità di invitare amici e farti scoprire zone della città che non conosci. Ma non solo però, ha la capacità di non limitarsi al telefono per la sua ambizione a immaginare un senso di comunità condiviso, ecosostenibile e in piena sicurezza.

3.2

Qualcuno dirà che PATTERN è una semplice applicazione che mette in contatto delle persone all’interno della città eppure vuole avere l’ambiziosa sfida di tener fede a tutte le problematiche che la situazione ci mette di fronte. Sicurezza, condivisione e visione, devono essere le regole per poter far ripartire il settore culturale senza compromessi. Dai territori, che noi abbiamo voluto chiamare rioni e dalle piccole e grandi realtà, che noi abbiamo voluto chiamare comunità, nasce la città in cui vivremo ogni giorno per i prossimi anni. Come abbiamo scritto in precedenza, questo progetto vuole essere uno stimolo al dibattito e prova a proporre alcune visioni a una nuova socialità per la città di Bologna. Siamo consapevoli delle difficoltà di comprensione della situazione in cui stiamo vivendo da qualche mese a questa parte e siamo altresì convinti che le proposte di tutte le attività siano fondamentali. Abbiamo ritenuto necessario immaginare qualcosa del genere soprattutto visto lo scenario in cui stiamo metabolizzando il sistema culturale contemporaneo; quello che succederà domani non possiamo saperlo e davanti a una moltitudine di doveri rispettabili abbiamo semplicemente rivendicato il diritto a non limitarci, pur rispettando tutto ciò che ci circonda.

KNOWLEDGE 40100Ne abbiamo scelti 30. Sono 30 brani, non uno di più, non uno di meno. Sono il sottosuolo Bolognese della musica hip hop, sono nuovi, emergenti, freschi, conosciuti e non solo. Ci sono quelli più integralisti della disciplina, i nostalgici e i figli della nuova wave, non c’è molto altro da aggiungere se non che ogni settimana verrà aggiornata anche e soprattutto con le proposte che ci arriveranno, in alternativa continueremo a esplorare e ricercare nuove idee. Tu devi aggiungerla ai tuoi ascolti preferiti di spotify, solo ed esclusivamente se hai voglia di scoprire la nuova wave, altrimenti no, nessun problema. Ci vediamo sotto al palco, prima o poi.

 

 

Il cosa e il come

Quando durante i pomeriggi estivi di 15/16 anni fa – non è tanto lo so, ma non sono nemmeno così vecchio – organizzavo le partite con i Lego in terrazza da mia nonna, desideravo con tutto me stesso non essere disturbato. Era vietato: annaffiare i fiori, muovere il tendone, stendere o semplicemente cambiare aria in casa. Mia nonna puntualmente faceva queste azioni, anche se con intervalli di ore. Io mi lamentavo e lei ripeteva sempre “come mi muovo faccio qualcosa di sbagliato” quasi affranta e spesso dispiaciuta. Una volta provò con un gesso a farmi il rettangolo da gioco. Ma non ho approvato. Poi mi ha creato una sorta di curva per i tifosi, ma io già all’epoca non apprezzavo il tifo composto e borghese, facevo di quelle invasioni di campo (…)

Come te lo racconto un movimento di persone, che oltre le antipatie, i gusti personali e qualche invidia riesce ad influenzarsi e captare quel tanto che basta per esportare un suono, una città fuori dalle mura amiche? Così sembra un bel po’ retorica, col finale a lieto fine che fa incazzare quei 4 intellettuali e rende gioia ai lettori meno consapevoli. Eppure Bologna e la sua scena musicale, sono questa roba qui: una storia positiva con un finale che fa storcere il naso a tutti. Guerre fra locali ma fino a un certo punto, guerre fra negozi di dischi ma fino a un certo punto e guerre fra progetti musicali ma fino a un certo punto. Noi all’epoca creammo una web radio, poi qualcuno creò una web radio, nelle radio fm non ci cacava nessuno perchè eravamo troppo. Troppo piccoli, troppo inesperti, troppo di destra (?), troppo brutti, troppo poco intelligenti. Vabbè eppure come te la raccontiamo la #scenaBolognese? Ancora con questa retorica provinciale del vogliamoci bene e vinceremo insieme? No magari questo no. Magari non sappiamo spiegartela. Vabbé facciamo che piazziamo una gallery di cover dei dischi, senza spiegare nulla, quasi come se fosse un teaser sui recenti dischi usciti da progetti Bolognesi che hanno avuto un significato, nella maggior parte delle persone. Poi qualcuno condividerà, dischirotti (che racconta le copertine) forse si incazzerà, noi intanto facciamo così. Tanto a Bologna ci lamentiamo, non va mai bene niente. Eppure, eppure.

Bologna suona ancora.

Ricercare, osservare, ascoltare, sostenere. Questi sembrano i principi fondamentali su cui è fondato quel sottosuolo musicale Bolognese in grado di rapire tutti gli addetti ai lavori e creare una coscienza nel movimento di persone che si mette in gioco a servizio di un percorso che potrà, un giorno, portare i suoi frutti ma in realtà non è così indispensabile. 

Linea 20

A Bologna di mattina quando nessuno se l’aspetta c’è molta nebbia. Il cielo è grigio ma non scuro, consapevole che con il passare della giornata in qualche modo uscirà il sole. Nell’ultima periferia cittadina, a pochi passi dai centri commerciali e dalle prime frazioni in provincia lo spazio temporale viene tagliato dai mezzi pubblici e dal silenzio che lo smog accresce parallelamente al traffico. In fondo al quartiere San Donato, nella parte Nord-Est della città sorge il Pilastro quello che storicamente oltre a essere il primo contatto con l’area metropolitana può considerarsi uno degli organi più importanti della popolazione locale. Arte di strada, calcio tra le macchine, case popolari, centri commerciali alle proprie spalle, ampio parcheggio, campo da baseball, palestre ben curate, impianti sportivi: in sostanza un grande centro vitale per la città. In Via Salgari, sorge il “Virgolone” una struttura curvilinea di sette piani che prosegue per circa 700 metri e formato da oltre 500 appartamenti. Nato negli anni 70 dal bisogno di creare integrazione sociale per il quartiere e la città risulta uno dei grandi simboli di melting pot più duraturi e vivaci nel corso del tempo.

Linea 20

Il modo più comodo ed efficace per raggiungere il centro cittadino è la Linea 20, spesso dimenticata durante i suoi viaggi ma ben presente nelle vite di tutti dato che rimane l’autobus più frequenti nei passaggi proposti dalla linea di trasporti. La Linea 20 trova il suo capolinea proprio nelle dolci e vive curve del Virgolone. Ogni mattina a partire delle 5.00, lavoratori, studenti e famiglie iniziano la loro giornata proprio sulla Linea 20. Le prime fermate, attraversando il ponte sopra la tangenziale, portano a San Donato. Luogo più residenziale dove sorgono molteplici attività commerciali dalle varie sfumature che uniscono tradizione e multiculturalità.

A Bologna, chi non ha una parte della propria famiglia in San Donato sta mentendo o semplicemente, non ha vissuto veramente la città.

Linea 20

San Donato sulla Linea 20, quando il sole inizia sorgere e la mattina sta iniziando a farsi più chiara. San Donato, dove il Mercato è stato epicentro delle giornate della propria nonna prima di chiudere ed essere in fase di rinnovamento da circa 5 anni, ma tanto sei diventato adulto e forse quella voglia di quotidianità ormai l’hai smarrita. San Donato violenta, i ragazzi piuttosto attempati di Piazza Adam Mickiewicz quelli che giocano a carte e vanno al centro scommesse per arrotondare la propria pensione, San Donato vs Pilastro e quel derby fra società sportive che risulta essere un piccolo avvenimento per la vita da quartiere. San Donato dove i muri dei palazzi sono diventate opere d’arte e sorge il piccolo laboratorio di Ericailcane – street artist ma forse qualcosa di più – e in sostanza dove l’integrazione non è considerabile un valore, piuttosto una semplice conseguenza della natura. Perché qui, poco prima del ponte che apre le porte del centro, la piccola cittadina funziona anche se spesso ci si dimentica di lei, dei suoi problemi ma anche del prezioso tesoro che conserva tra studenti fuori sede in cerca di un appoggio tattico per la logistica alle nonne che vanno a ballare nella sala Sirenella, quella che una volta era una sede centrale per le attività politiche di un partito, quel partito che ancora qui esiste ma alle volte si dimentica pure lui delle sue persone. Che tu sia straniero o Italiano, qui le persone sanno rispettarsi e convivere in quella che si può considerare una prima periferia funzionante, culturale e viva dell’Italia intera.

Linea 20

Superare il ponte sulla Linea 20 significa scoprire il sole e sentire un vuoto allo stomaco perché gli autobus vanno veloci e quasi ti dimentichi di quando per entrare nel centro riuscivi a incontrare uno dei primi murales fatti da BLU – poi rimosso da qualche tempo a causa di una ristrutturazione. La strada si stringe, Porta Zamboni si illumina e Via Irnerio ha un sapore di metropolitana mai scontato per chi nasce e cresce in una città come Bologna. Via Irnerio è teatro di spettacoli che agiscono parallelamente nella zona universitaria. Ci sono studenti che scendono, studenti che salgono e studenti che non riescono a salire più. Via Irnerio significa Via Mascarella, strada che racchiude tutta l’essenza della città lungo tutta la sua storia secondo una contemporaneità disarmante: discoteche, jazz club, librerie indipendenti, copisterie, sedi universitarie, cinema indipendenti, ristoranti per tutte le tasche, il primo alimentari gestito da Pakistani in Italia, muri scritti, portoni alti e portoni piccoli.

Se vivi in Mascarella non hai mai bisogno di uscire dalla strada. C’è tutto e il contrario di tutto.

Linea 20In fondo a Via Irnerio prima di svoltare in Via dell’indipendenza sulla destra è possibile osservare la Montagnola. Luogo spesso soggetto di critiche perché negli anni 90 è stato protagonista e porto di quella che si può considerare molto più di una perdizione ma un quieto vivere abbastanza assodato. Tutti sapevano, nessuno denunciava. La gente moriva e in fondo andava tutto bene perché il cane possiamo portarlo da altre parti. In Montagnola ogni venerdì e sabato del mese c’è il mercato più grande in Italia – la piazzola – dove si può comprare di tutto a buon prezzo sentendosi comunque parte di una comunità attiva senza etichetta di genere o stato sociale. La svolta a sinistra in via dell’indipendenza è traumatica. Salgono turisti, fanno qualche fermata e una volta che il sole sta prendendo calore sulla tua pelle l’autobus si svuota arrivato in Piazza Maggiore. Qui il silenzio torna a salire e il sole molto spesso viene coperto dalla bellezza di Palazzo Re Enzo. Proseguendo su Via Rizzoli, oltre i grandi negozi e quel minimo contatto con le persone – già su Via Rizzoli non può avere dei rapporti umani perché la vita va troppo veloce e il commercio diventa sfrenato e privo di una comunità – la svolta a destra significa cambiare radicalmente prospettiva della città. La Bolognesità e l’artigianato storico cittadino emerge lungo il “quadrilatero” definito lo shopping più esclusivo con i locali più trendy che si possono trovare nel territorio Felsineo. Gli studenti universitari non esistono, il melting pot non esiste e nemmeno tanti problemi si nascondono dietro questa tradizionale città nella città. Pesce fresco, buon vino, mortadella di qualità e quel discutibile vizio di portarsi i propri mezzi davanti al locale in cui si sta consumando. La città diventa fredda, Via Castiglione con svolta in Via Farini coincide con lo storico Liceo Galvani e con questa freddezza inaspettata. Il sole è stato mangiato dai palazzi alti alti e tutto ciò che risulta diverso non diventa caratteristico ma forse problematico. La città si divide così con un polmone rosso e un polmone bianco, nascosto ma ben visibile e poco attivo. Via Farini scivola via in fretta con adolescenti che raccontano delle prime pomiciate nelle discoteche sui colli e qualche cannetta fumata nella piazza vicina di San Domenico. La svolta in via Collegio di Spagna verso Zona Saragozza riaccende lo spirito e la luce nei nostri occhi. Questa è la parte della città più tranquilla, discreta e residenziale. Dove la borghesia e il senso estetico delle strutture rende decisamente migliore accoglienza e integrazione senza però narrare vita notturna e luoghi peccaminosi. La calma che suscita l’arrivo al Meloncello di fianco allo stadio è scandito dalla lunghezza del portico di Via Saragozza che parte dai viali e arriva sino a San Luca, laddove nessuno sa ma il tempo non trascorre mai nonostante il grado della salita. Arco dopo arco, pietra dopo pietra con il sole che torna forte sulla tua pelle e l’autobus di nuovo pieno di storie, persone o semplicemente vite che si sono intrecciate.

Linea 20

Il centro ormai è lontano e Casalecchio di Reno non dista molto. C’è tempo per portarsi dietro le storie che sono state raccolte dalla partita di calcio e attraversare brevemente la prima periferia ben curata e con il fresco dei colli della città con San Luca che ti osserva e un sole che lentamente ormai si sta spegnendo. Casalecchio di Reno è un paese a pochi passi dal centro città ma un paio di secoli fa, chi risiedeva in centro passava qui i propri fine settimana estivi e caldi per potersi rinfrescare al Lido, tra il verde e il fiume Reno. Ora Casalecchio è diventato un centro economico, autosufficiente e dinamico. Una parte della città che riesce tranquillamente a vivere senza bisogno del centro cittadino. Casalecchio è grande, con una sua periferia e una certa volontà a non risultare un paese ma piuttosto un piccolo cuore della provincia dove poter andare nei centri commerciali, passare il tempo in biblioteche modernissime, ascoltare musica in centri ricreativi ben tenuti, frequentare scuole superiori e mangiare in ristoranti tipici per ogni tipo di tasca. Una parte che non si piega al senso di provincia e ben collegata. Con la linea 20 infatti inizia il tragitto nel tragitto. A Casalecchio ci fermiamo diverse volte e continuiamo a sentire il sole spegnersi ma ormai è finita la giornata, le persone escono dalle fabbriche e non vedono l’ora di poter tornare a casa per mangiare e poco altro. Ogni fermata è collegata con i paesi vicini e lontani oltre la stazione che porta persino al territorio Modenese diversi lavoratori. Qualcuno arriva al capolinea come me. Ormai qui si è fatto tardi, ma in molti devono solamente tornare indietro perché sono diversi chilometri per poter andare a casa, attraversare tutta la città ma in fondo essere felici. Perché da Nord a Sud di Bologna, la linea 20 è riuscita a prendere tutti, almeno una volta nella vita, riuscendo a cogliere tutti i nostri polmoni, regalandoci sole e nebbia, caldo e freddo ma soprattutto rendendosi profonda osservatrice delle persone di questa città. Come se fosse un discreto, borghese, multiculturale punto di riferimento.


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