Intervista a Chiara Cenerini e Francesca Fabbri a cura di Francesco d’Errico
Culturit nasce nel 2015 a Milano e si diffonde presto in tutta Italia, dando vita a un fitto network di associazioni, oggi diffuse in tutta Italia da Trento a Napoli. Associazione composta da studenti universitari, professori e professionisti che ha come obiettivo principale quello di favorire la transizione scuola lavoro attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, fornendo un supporto alle realtà del settore a livello di gestione, promozione, sviluppo, grazie ad un approccio multidisciplinare che valorizza tanto gli aspetti scientifici ed economici quanto quelli umanistici e artistici dell’impresa culturale.
Nel 2016 grazie a Chiara Cenerini, laureata in Bocconi e adesso studente GIOCA, e a Francesca Fabbri, laureata in Beni Culturali e adesso studente di valorizzazione del patrimonio storico e artistico all’Alma Mater, Culturit approda anche a Bologna, realtà che conta oggi una squadra di ben 34 membri e realizza diversi progetti ed attività sul territorio. Con Chiara e Francesca abbiamo parlato di cosa significa fare network con le altre realtà cittadine, del rapporto tra zona universitaria e cultura, di Riforma Franceschini e tante altre cose.
Che cos’è CulturIt? Dove e quando nasce?
C: siamo un network di associazioni non profit apartitiche ed apoliticche, composte da studenti, professori e professionisti volontari. La nostra struttura prende spunto dalle young entreprises, associazioni universitarie che forniscono consulenza alle aziende, ricevendo in cambio formazione professionale. Il nostro obiettivo, invece, nasce dalla consapevolezza che in Italia non ci sono realtà che fungano realmente da ponte tra l’università e il mondo del lavoro, in particolare nel settore cultura. E’ per rispondere a questo bisogno che nel 2015 nasce il Network Culturit, che persegue, appunto, entrambi questi scopi: offrire formazione professionale agli studenti e metterli a contatto con realtà lavorative del settore e valorizzare il patrimonio culturale italiano. Oggi siamo presenti in ben 11 Università Italiane.
Come funzionano le “locali”? C’è un coordinamento dall’alto?
C: ogni locale è divisa in diverse aree, c’è l’ area “knowledge partner” che si occupa di stringere rapporti con professori e professionisti , c’è l’area “risorse umane” che si occupa del reclutamento e del corretto inserimento dei membri, l’area “formazione” che crea eventi ad hoc per i membri di Culturit finalizzati alla formazione dei membri dell’associazione, l’area “comunicazione” che si occupa di comunicare con l’esterno ma anche, cosa molto importante, di gestire la comunicazione interna tra tutte le locali, l’area “progetti”, che si occupa del core business di Culturit, cioè dei progetti di consulenza che noi realizziamo per le realtà culturali e che ci permettono di imparare ed acquisire competenze e conoscenze. L’area “progetti” è un’area fluida che si crea in maniera trasversale rispetto alle altre aree, mi spiego; chi è parte di un’area di quelle sopracitate, può entrare a far parte dei singoli team di progetto che si creano ad hoc per ogni consulenza ad un cliente esterno. Inoltre Culturit ha anche un giornale online, “Culturit Review” su cui pubblichiamo e scriviamo articoli inerenti al mondo dei giovani e della cultura e la “Culturit University”che è l’apice della nostra formazione interna: due volte all’anno, tutti i componenti delle singole locali si riuniscono per frequentare degli eventi di formazione e di team building. Per esempio quest’anno a Marzo, abbiamo organizzato la 4° Culturit University a Milano, dedicata al tema delle politiche culturali in Italia e in Europa per lo sviluppo e la valorizzazione del territorio.
Per quanto riguarda il coordinamento, la struttura locale viene rispecchiata all’interno di un team nazionale: c’è infatti un responsabile per ogni area a livello nazionale che coordina tutti i responsabili delle relative aree delle varie locali, questo meccanismo garantisce omogeneità tra le attività delle varie locali, senza però ostacolare le specificità dei vari territori in cui siamo attivi.
Veniamo a Culturit Bologna. Quando è nata e qual è la vostra esperienza finora?
F: Culturit Bologna è nata nel Dicembre del 2016 e fin da subito ci siamo chiesti: cosa può differenziare Bologna dalle altre realtà? Quali sono le sue specificità? Dal punto di vista universitario, innanzitutto, possiamo usufruire di una grandissima interdisciplinarietà. In altre città non c’è la possibilità di avere così tante facoltà diverse da cui attingere e coinvolgere studenti. La coesistenza e la collaborazione all’interno del nostro gruppo di studenti provenienti da facoltà anche molto diverse tra loro, da economia a beni culturali, passando per scienze politiche e architettura e design, arrivando a giurisprudenza, è sicuramente uno dei nostri punti di forza. Siamo partite noi due, da sole, ed oggi contiamo 34 membri. Prevalentemente svolgiamo attività di consulenza per le realtà che sono interessate, proprio come tutte le altre locali CulturIt.
Svolgiamo progetti di consulenza limitati nel tempo per Enti e Istituzioni e altre realtà del settore culturale. Le realtà con le quali ci interfacciamo sono anch’esse caratterizzate da una grande interdisciplinarietà, in un contesto come Bologna appunto possiamo spaziare da istituzioni molto solide nel contesto bolognese a realtà giovani e nuove. Per esempio abbiamo svolto un progetto di consulenza per TimeShift, una crew e etichetta discografica che realizza eventi di musica elettronica, ma anche per il Mercato Sonato che, per noi, è una delle realtà più interessanti in città. Abbiamo anche collaborato con il Teatro Comunale, storica fondazione ben radicata nel territorio cittadino.
Proprio a Teatro abbiamo appena concluso un ciclo di tre workshop che abbiamo avuto l’opportunità di organizzare dopo essere risultati tra i vincitori del bando U-Lab indetto dall’Urban Center all’interno del progetto ROCK finalizzato a riqualificare la zona universitaria. “Mettiamoci all’Opera” è stato un progetto che si può etichettare di “audience development” per il Teatro Comunale. Il nostro punto di partenza è infatti stato quello di riconoscere il Teatro come uno degli attori principali all’interno di una possibile riqualificazione della zona, e di una sua apertura anche a nuovi pubblici. I tre incontri che abbiamo organizzato avevano infatti l’obiettivo di avvicinare i giovani, in particolare studenti universitari come noi, all’Opera, accostandola a tre tematiche quotidiane, in cui tutti possano rispecchiarsi, come il cibo, il rapporto uomo -donna e la moda. E’ stato interessante vedere come questo genere apparentemente lontano dal nostro mondo in realtà sia molto attuale. Per ogni serata era prevista una parte conferenziale e una laboratoriale. Al termine di queste tre serate possiamo considerarci soddisfatti, avendo raggiunto un pubblico di circa 150 persone tra le quali diversi universitari alcuni dei quali non avevano ancora avuto modo di entrare al Teatro Comunale. Il risultato più importante è stato sicuramente quello di aver invogliato persone ad andare anche a vedere le rappresentazioni in cartellone. E di fatto siamo anche rimasti sorpresi di quanti gli “abitué” del teatro si siano dimostrati disponibili ed aperti ad un dialogo con i nuovi pubblici.
Parliamo di Bologna. Al di là dell’Università quali sono, dal vostro punto di vista, le sue potenzialità a livello culturale?
C: la grande potenzialità di Bologna risiede nella sua varietà di proposta culturale. Infatti, la nostra città, a differenza di altre, dispone non solo di un ricco patrimonio di beni culturali in senso stretto ma anche di una vasta proposta in termini di eventi e iniziative culturali. Molte città soffrono di un certo squilibrio; tanto patrimonio, pochi eventi e viceversa. L’offerta di Bologna, in questo senso, è molto “completa”. Per noi che crediamo in un concetto di cultura aperto e ampio, infatti, è un luogo perfetto in cui sviluppare le nostre attività.
Voi vi proponete, tra le altre attività, quella della valorizzazione del patrimonio della città. Che cosa, secondo voi, non è abbastanza valorizzato o apprezzato a Bologna?
F: partendo dal presupposto appunto che siamo fortunati a nascere in un contesto ricco di nuovi stimoli e spunti in particolare per la valorizzazione del patrimonio, trovo che un elemento che stride con questa predisposizione della nostra città siano i musei universitari, e il patrimonio storico-culturale locale. Penso che i musei universitari siano immagine della storia della più grande istituzione della città alla quale sono indissolubilmente legati. Questi spazi dovrebbero narrare la storia della conoscenza e della ricerca ma ancora oggi purtroppo risultano di difficile accessibilità al pubblico e il loro aspetto rappresentativo viene meno. Per quanto riguarda il patrimonio culturale locale, penso alle molte chiese, basiliche e Palazzi storici che tutt’oggi giocano ancora un ruolo “satellite” nel patrimonio culturale cittadino e spesso passano inosservati, quando credo in realtà che siano una grande risorsa.
Quello del disagio della zona universitaria è da sempre terreno di dibattito e da anni si cercano soluzioni invano. Da ultimo le cose però stanno cambiando, anche grazie a una serie di proposte e interventi culturali. Secondo voi, dunque, la proposta di attività culturali può essere uno modo per risolvere questa situazione?
C: noi pensiamo che la cultura possa assolutamente essere uno strumento per risolvere la situazione della zona universitaria, al contrario degli scarsi risultati ottenuti con ordinanze varie. Noi stessi ci stiamo impegnando in questo senso in prima persona. Abbiamo fatto progetto Comunale di cui parlava prima Francesca.
Non avremmo mai preso parte a un progetto del genere se non avessimo pensato che potesse avere impatto sulla zona universitaria. Inoltre ci stiamo cimentando in una nuova tipologia di collaborazione partecipando al Bilancio Partecipativo 2018 per il quartiere Santo Stefano (in cui rientra a far parte la zona universitaria), promosso dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana e dal Comune di Bologna. Eventi del genere consentono agli studenti di comprendere e apprezzare il valore della città universitaria in cui vivono, peraltro riuscendo anche a coinvolgere i residenti e mettere a contatto queste due categorie che storicamente non sempre vanno d’accordo.
Quanto conta “fare network” con le altre realtà culturali che operano sul campo? Che rapporti avete con le altre realtà bolognesi?
F: essendo il focus principale di Culturit la formazione dei membri, credo che fare network con altre realtà culturali sia fondamentale, per ora, abbiamo avuto ottimi riscontri. Ci e’ capitato di confrontarci con realtà sia giovanili che non, di natura più o meno simile alla nostra e sono sempre state occasioni di scambio che hanno portato sempre a un reciproco arricchimento.
In generale, forse, il fatto di non avere un passato pesante alle spalle e di presentarci sempre disponibili e con grande volontà di ha spianato molto la strada e la veloce crescita del gruppo nei suoi due anni di vita ne è la dimostrazione. Molte realtà ed enti culturali ci vedono come ponte per collegarsi e arrivare agli studenti, che possono essere futuri operatori del settore. E quindi si interessano a noi e alla nostra attività.
C: sì, ci tengo anche a sottolineare una cosa. Quello della cultura non è un mercato competitivo. Se scelgo di visitare un museo non significa che io non possa poi visitarne un altro. Anzi, se, facendo l’esempio sistema della Card Bologna Musei, andandone a visitare uno, entro all’interno di un luogo che è parte sistema più complesso di cooperazione e coordinamento, probabilmente sarò poi spinto a visitarne altri, ad allargare le mie prospettive.
Usciamo da Bologna, parliamo di cultura a livello nazionale. Cosa pensate della riforma Franceschini?
C: è indubbio che siano stati ottenuti notevoli risultati con la riforma Franceschini. Il problema della riforma, e del suo modo di rivendicarla, è quello di porre l’accento soltanto sulla muscolarità dei numeri, di utilizzarla come principale criterio di valutazione. Basarsi sui numeri è importante ma non è sufficiente, non basta. Non si può effettuare una valutazione solo basata su questo; quando si parla la lingua dei numeri il rischio è quello di dimenticare e tralasciare molti altri aspetti. Servono nuovi indicatori e nuovi criteri per valutare i risultati.
F: io vorrei aggiungere una aspetto, penso che al di là dei numeri, che comunque di per sé hanno avuto risultati positivi, ad ora sia necessario porre l’accento sulla qualità della fruizione del singolo e privilegiare la tutela del bene culturale, e’ importante la salute dei beni culturali. I musei e i luoghi della cultura hanno in primis un ruolo educativo e la loro fruizione deve essere progettata con l’idea di far tornare il visitatore.
Restiamo, in qualche modo, sul rapporto cultura-numeri. Secondo voi, tra marketing e cultura che rapporto deve esserci? Sono due parole che messe l’una affianco all’altro stridono oppure è necessario che coesistano?
C: la cultura non è un prodotto come tutti gli altri. Non può essere trattato come si trattano tutti i prodotti. Non si può usare il marketing tradizionale, quindi sì, si può dire che il marketing sia necessario ma bisogna dire che è necessario utilizzarlo in maniera diversa rispetto agli altri prodotti ed effettuare una valutazione specifica, caso per caso.
Negli anni, tra l’altro, ci sono stati tantissimi cambiamenti: la cultura è passata da avere fondi illimitati a doversi rapportare con un mercato. E in questo senso è cambiato molto anche il rapporto tra privati e cultura. E’ tutto in via di evoluzione e bisogna seguire l’evoluzione comprendendola e controllandola, senza preclusioni e pregiudizi o preconcetti.
In conclusione, allarghiamo la prospettiva dall’Italia al mondo. Per alcuni il mondo globalizzato è nemico della cultura e tende ad appiattirla, a uniformarla. Cosa pensate di questo processo?
C: per quanto effettivamente, ormai, dovunque si vada ci sono delle forti similitudini e punti in comune, classico esempio sono Starbucks e McDonalds ovunque, non si troverà mai lo stesso museo, lo stesso palazzo e con la stessa storia di un luogo in un altro. Ogni luogo resta, comunque, un luogo caratterizzato dalla propria storia/cultura. La cultura oggi diventa uno strumento di dialogo, un aspetto che mette in luce la differenza tra un luogo e un altro. Differenza e diversità sono parole che si ha paura di pronunciare oggi. Ma la diversità è un valore nel momento in cui permette l’instaurazione di un dialogo, di uno scambio. Dunque, il ruolo della cultura nel mondo globalizzato è centrale e non penso affatto che si appiattisca.
Con che brano volete salutarci?
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BOLOGNA, 40100 VEZ.