C’è (indie) rap oltre la trap

Girando con vergogna la città il Sabato pomeriggio, nella mia adolescenza in compagnia (nascosta) di mia madre per acquistare vestiti comodi e in un certo senso alla moda nei negozi del centro storico, molti dei miei coetanei si trovavano in uno di quei posti che fanno le crepes alla nutella. Ora, non voglio sponsorizzare una delle attività spin-off di un noto brand che conosciamo tutti, però quei ragazzi vestiti con pellicciotti (ovviamente finti), scarponi, jeans con frasi nel sedere e magliette tiratissime dai colori appariscenti erano sempre in compagnia di un sacco di ragazze, mentre io ero un povero sfigato che nascondeva la propria madre e cercava di comprare dei vestiti, spesso larghi, sicuramente non aderenti. Poi con il tempo tutto è cambiato, di quei ragazzi (alcuni conoscenti) non ho più avuto alcun tipo di notizia. Da qualche anno però ho visto che molti di loro sono diventati esponenti della trap locale e  insieme ad altri ex rapper dai pantaloni larghi, portano avanti il movimento con grande orgoglio ostentando una forte immagine e riuscendo spesso a cogliere un linguaggio comune con il pubblico, oltre ad aver riportato la ricerca musicale al primo posto. Lo so, è forse una sintesi troppo selvaggia, però io in quel locale c’ho visto molti ragazzi che nel mentre hanno spopolato in discoteca sono riusciti davvero a raggiungere un pubblico notevole. Io all’epoca andavo ai concerti per sfigati con le chitarre con il grande sogno di emulare nel migliore delle ipotesi brit-pop band come Oasis e Blur, nel peggiore invece tutti alla ricerca dei Pink Floyd Italiani. Insomma, divertente ma pure due coglioni. Col tempo mi sono avvicinato al rap, soprattutto perché stavo iniziando a fare il rivoltoso e questa è una fase dove quel modo di parlarti prende facilmente il sopravvento sopra le chitarre, i sogni da rockstar, Kurt Cobain, Damon Albarn eccetera eccetera. Come me, tante persone hanno avuto un percorso simile, molti si facevano accompagnare dalla mamma a comprare i vestiti, poi tornavano a casa si incazzavano con lei e ascoltavano i grandi classici del rap prima di andare a qualche concerto. Quello che accomuna queste persone, oltre un background più ampio rispetto al solito schema – hip hop -> centro sociale -> pantaloni larghi -> canne?  è il fatto che mentre dalle discoteche i piccoli trapper crescono e rivoltano il mercato discografico come un calzino, alcuni rapper si sono buttati nei club, quei club dei loro miti. Un disco molto importante per capire il lancio di questa scena musicale in Italia è stato l’album di Ghemon “Orchidee” anticipato dal singolo “Adesso sono qui” che riesce a tracciare in modo trasversale un pubblico, che si porta dietro fin da dischi più rap, arrivando alle radio con meno distacco rispetto al passaggio di Neffa dal mondo hip hop alle canzoni farcite di ritornelli. Piace a tutti, unisce per immagine e musicalità, ma soprattutto inizia a portarsi dietro una band vera e propria lungo tutto il trionfale tour. Parallelamente (addirittura prima) chi ha sempre fatto dischi con canzoni d’amore e veniva definito eretico è Coez, che oltre a cuccare un sacco, non ha mai vissuto la separazione tra rap e pop, come se non ci fosse bisogna di scegliere drasticamente da che parte stare. Recentemente poi si è pure incazzato perché qualcuno di una nota rivista ha scelto di definirlo “indie rap” facendo per lui, lo stesso errore prodotto da questo scritto. Purtroppo (o per fortuna) per indie, non si intende più un discorso etico legato al mercato discografico, non si parla quindi di prodotti realizzati handmade e lontani da sponsor, corporation, radio bensì più di un modello stilistico ed estetico, figlio della cultura e del cambiamento degli anni novanta sul marketing musicale. Si potrebbe considerare indie, tutto ciò che viene espresso da un genere per poi venire contaminato da altri, sotto forma contenutistica, testuale o musicale che sia.

                                Che poi Coez sono certo che non girasse con la mamma per comprare i vestiti al Sabato pomeriggio, ma stava sicuramente scopando (o arredando casa).

Non solo però chiavi di lettura per un pubblico più radiofonico ma anche storytelling, come quello di Murubutu, professore di Reggio Emilia capace di scrivere una trilogia di romanzi in musica, rilasciati sottoforma di dischi nel corso di questi anni cavalcando sonorità più cupe, quasi epiche. La scia di Dargen D’Amico però è detenuta da Dutch Nazari, che oltre a una scrittura stilisticamente ben distinguibile rispetto ai colleghi, ha capacità vocali non indifferenti. Per via degli ascolti passati e per l’esperienza da batterista in un gruppo punk, Willie Peyote con le sue camicie a quadri ha saputo giocare sopra questa definizione di indie rap senza essere permaloso, ma traendone un beneficio, anche perché le tematiche affrontate dalle sue canzoni sanno esser tagliate in modo dissacrante, ironico pur essendo reali e spesso non leggere. A completare il quadro attuale si potrebbero raccontare i palinsesti di locali non sempre avvezzi al mondo hip hop, pieni di artisti, per scelta o naturale conseguenza, proveniente da questo sottobosco musicale: Carl Brave x Franco 126, Frah Quintale, Mecna e molti altri, sempre più spesso accompagnati da una vera e propria band.

L’indie rap non è altro che l’evoluzione di quello che si può definire alternative rap, ovvero pur mantenendo la stessa tecnica di espressione del rap tradizionale, si discosta per contenuti testuali e influenze musicali; vuole raccontare temi sociali e parlare alla collettività, da un punto di vista musicale i beat e e le produzioni hanno sfumature che vengono da un background rock, blues, jazz, raggae e soul. Non ha, per adesso, un forte impatto sul mercato discografico, anche perché di base dovrebbe rimanere lontano dalle grandi major e distribuzioni, però ha una chiave pop che può arrivare a un pubblico più adulto e consapevole rispetto all’universo trap che nella fascia 14 (forse 12?) – 20 anni sta prendendo praticamente tutto. Mio padre, che nel mentre giravo con mia mamma per comprare vestiti vergognandomi (e Coez scopava) ha sempre ascoltato Vasco Rossi, gli Stadio e un sacco di musica che le radio rifilavano, ora davanti alle canzoni di Carl Brave si emoziona e non chiedetemi perché, anche se vederlo ai concerti di Calcutta mi fa molto piacere. D’altronde è una stesura di testi e musica molto più nazional popolare rispetto ad alcune parole nei testi trap che mi fanno sembrare veramente un maledetto fuori tempo, ed essere fuori tempo per un ragazzo di 25 anni è una tragedia. Qualche volta leggo che i grandi click e i numeri forti adesso vengono fatti solamente dalla trap, e spesso vedere rapper navigati buttarsi in quel mood mi fa una grande tristezza. Questi approcci alla musica però, in questo momento, hanno decretato una pensione del hip hop, tanto triste quanto veritiera. L’arte hip hop non morirà mai dicono, però deve saper evolvere in comunicazione e soprattutto personaggi; qualcuno dice che le sfumature trap o indie/rap non sono autentiche e stridono con l’integralismo (che deve essere grande peculiarità della disciplina) hip hop, solo che chi lo sta dicendo non lo sa, ma è già (artisticamente) morto.

                       Questa canzone è un buon manifesto visivo e musicale di cosa si intende per indie rap nel 2017 in Italia e poi Willie ha pure il giubbotto di jeans che secondo me spacca.

Ogni tanto, anche se cresciuto e annoiato dagli sviluppi sociali, passo davanti a quell’attività dove 10 anni fa osservavo in disparte diversi ragazzi socializzare. Ora il posto si è riciclato in mille modi, da covo per piccioni a brunch per radical chic. Tutte fallimentari come proposte, così come l’appeal nelle persone , oggi però a distanza di 10 anni, mi sembra di vedere un telefilm che non è mai iniziato, dove i protagonisti sono sempre gli stessi sotto forma di altre personalità. Le fasi cicliche della musica e soprattutto del rap, ci permetteranno di discutere se davvero tutto questo fenomeno trap, durerà nel tempo oppure no e soprattutto come dice un mio amico – se è giusto che una ragazza preferisca andare a letto con Coez piuttosto che con me, attempato 25 enne .

 

 

 

 


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