10 anni di musica Indipendente in Italia.

Ci puoi arrivare da una parte o dall’altra, comunque in qualche modo ci arrivi. Poi puoi scavare per scoprire altro, ma di base l’occasione per arrivarci ce l’hai.

Quella sopra citata è una frase che mi disse un amico o forse un conoscente quando ancora andavo al Liceo. Questa persona, di cui non ricordo nulla devo essere sincero, parlava di come potevi conoscere i gruppi di musica definiti “alternativi”. 10 anni fa in Italia, si affacciava internet e con lui una serie di possibilità di conoscenza ulteriore; io comprai un disco dei The Strokes chiamato Is This It, circa 6 anni dopo la pubblicazione. Da quel momento internet, i correlati di youtube e la considerazione che tutto sommato Seth Cohen in un telefilm adolescenziale ascoltasse davvero ottima musica. Parallelamente a questo, le mie conoscenze andavano sempre in quella direzione: musicisti, cultori di musica, esperti di luoghi come negozi indipendenti, mercatini e club di musica dal vivo. A questa ondata soprattutto straniera, crescevano realtà musicali anche in Italia capaci di cogliere l’importanza del cambiamento che la cultura underground (se vogliamo proprio chiamarla così anche se in realtà fa cacare) stava mettendo in piedi proprio nella mia generazione e in quella che di poco mi ha preceduto. Nella città in cui sono cresciuto, My Awesome Mixtape e Forty Winks (oltre a una marea di progetti fantastici) prendevano piede nell’immaginario di diversi ragazzi ma soprattutto nelle playlist da ascoltare prima e dopo la scuola, prima e dopo la delusione con la ragazza che non ti ha mai filato, prima e dopo l’ennesimo 5/6 a scuola. Gruppi Italiani sì, ma con un forte colore che proveniva da luoghi in grado di scuotere già all’epoca le testa della maggior parte dell’opinione pubblica. Qui da noi ancora nicchia. Con le proprie soddisfazioni ma nicchia. Erano circa dieci anni fa, la cultura del concerto stava prendendo consapevolezza e le discoteche si svuotavano di pr e persone vestite con i mocassini. Sarebbe stato difficile arrivare subito a loro, ma un primo segnale di questa battaglia culturale era stato messo in campo. Con internet crescevano webzine e progetti editoriali molto avvincenti. Prendo DLSO nella versione blogspot in grado di fornirti gli strumenti necessari per conoscere il mondo Italiano indipendente non solo musicale, mentre ROCKIT divenne un portale di riferimento perché potevi trovarci davvero di tutto. Senza dimenticare però le idee di BONSAI TV e un programma chiamato MTV Your Noise condotto da Carlo Pastore dal Lunedì al Venerdì alle 18.00, prezioso per portare dentro alla televisione, quella che guarda chiunque, un certo tipo di musica in orario fruibile dalla maggior parte delle persone. Poi c’è la musica, i protagonisti. Un gruppo milanese piuttosto famoso chiamato “I Ministri” nel 2006 pubblica un disco – I soldi sono finiti – e dentro la copertina si poteva trovare una moneta da 1€. Gesto provocatorio per combattere la crisi della discografia che parte dai piani alti ma non fa poi tanta paura al mercato indipendente che ne vede una possibilità non indifferente per poter emergere. Altro disco cardine del movimento è quello realizzato da un giovane cantautore Ferrarese che dopo una demo di successo si presenta con Canzoni da Spiaggia deturpata. Lui è Vasco Brondi noto come Le Luci Della Centrale Elettrica e sta diventando un poeta, musicista e sex symbol non indifferente, mentre le ragazze che prima facevano il tavolo in discoteca ora, frequentano librerie indipendenti e ogni tanto, comprano dischi. Questo disco segna una nuova linfa per tutto il movimento di cantautori che solo per quest’articolo definiamo underground: Dente, Brunori SAS e molti altri. Con la chitarra in mano e una narrativa propria senza l’obbligo di piacere ma con il bisogno di farsi ascoltare. Segue movimento in rete e traffico nei concerti. Oppure traffico in rete e movimento nei concerti.

Per capire al meglio come sviluppare questa battaglia culturale bisogna però conoscere il campo di gioco. E nel mentre cresce la domanda – perchè sì, inizia a non essere così da sfigati ascoltare i Death Cab For Cutie – la risposta inizia a ponderare. Etichette discografiche, collettivo di artisti, esperti di comunicazione rigorosamente indipendenti o comunque vicini al movimento si interrogano su come arrivare a un pubblico sempre maggiore e in qualche modo incuriosito. La Tempesta, 42 Records, Garrincha Dischi, Foolica, Trovarobato, Unhip, Ghost e tantissime altre hanno la fortuna e bravura a cogliere l’esigenza non solo della domanda, ma anche di quelli che la domanda non se la fanno ancora. Ma tanto in un modo o nell’altro ci arriveranno. Niccolò Contessa invece è un grande appassionato di musica elettronica, ha un progetto dove fa ballare delle persone e non ha la stessa fame di successo che in molti ragazzi nutrono soprattutto in quel periodo. È una persona a cui piacere scrivere e la sua visione del mondo che lo circonda diventa un vero e proprio cult soprattutto perchè non si conosce la vera identità del suo progetto musicale I Cani, mentre in rete tutti ascoltano le tracce e sono incuriosite dalla non comunicazione fatta da sacchetti in testa e social network. Il sorprendente album d’esordio de I Cani, disco ironico con una sua attitudine ben precisa, spalanca le porte e libera finalmente l’animo hipster che in quel movimento che stava crescendo nessuno era riuscito a cogliere. Seguono sold-out, curiosità dai media nazionali e tante altre cose molto belle, forse inaspettate ma di certo vincenti. Sulla stessa linea Lo Stato Sociale ma con il merito di crearsi il proprio pubblico. Un pubblico in grande aumento, come se stessimo parlando di un movimento politico e non di un gruppo di ragazzi che fanno quello che gli piace. Il successo generato porta alla prima divisione di questa battaglia, dove l’universo indipendente comincia a creare le sue piccole fazioni che si possono dividere in sintesi così: cantare in Italiano o cantare in Inglese.

Guardare all’estero o arrivare a riempire tutti i club in Italia. Qui seguono discussioni dove la critica per partito preso decide di affossare una parte oppure l’altra. Qualcuno scrive cattiverie perchè rosica, altri rosicano perchè scrivono cattiverie. È un momento così, soprattutto perchè dall’altra parte della barricata qualcuno inizia ad accorgersi che non tutto è così fermo, che il campo non è quello di una volta e che persone, prima o poi ci arrivano e le occasioni iniziano a essere molteplici. Uno dei grandi nemici dell’undeground è il talent show. Maria De Filippi e Marco Mengoni sono tra le personalità più detestate eppure Morgan stava simpatico perchè cantava delle canzoni molto belle e poi in fondo è una rockstar. Con il passare del tempo anche questo modo di interpretare la televisione ma soprattutto il talent show cambia completamente: prima si stava a casa per boicottare, poi si è andati come concorrenti per boicottare, poi si è andati come concorrenti per vincere e infine perchè non facciamo anche i giudici così da poter far vincere qualcosa di nostro?

Non sono uno di quelli che trova il compromesso televisivo frutto solo di denaro o popolarità ma vede la ricerca del tubo catodico, come della radio un compromesso verso se stessi. In fondo ci piace riempire i club, stare tutti insieme a raccontarci che siamo bravi, però mettersi in gioco e farsi ascoltare da tutti non è mica così semplice. I Perturbazione vanno a Sanremo come i Marlene Kuntz, Manuel Agnelli diventa giudice di X-Factor e molte etichette indipendenti passano le proprie canzoni quotidianamente in radio. Si gonfiano i prezzi degli uffici stampa e i Verdena sono ancora la miglior band Italiana o forse no. Però Tiziano Ferro due sold out allo stadio San Siro non riesce a farli consecutivamente. Insomma cambia il sistema di elaborazione delle informazioni, nulla ti viene più imposto dall’alto, tutto può crescere dal basso. Prima che il mondo dei club rock&affini si accorgesse di questo cambiamento la fazione undeground del hip hop torna ciclicamente e ne approfitta. La società in cui viviamo è in confusione, la fiducia nelle istituzioni va verso il minimo storico quindi c’è bisogno di un linguaggio ancor più diretto ma sempre personale. La nuova golden age rap porta la creazione di contenuti, etichette discografiche, booking e molto altro in grado di autosostenersi nelle proprie attività facendo sì che tutto questo diventi un vero e proprio lavoro. Il pubblico c’è e cresce perchè sono piccoli ok, ma continuano a moltiplicarsi. Le Major si accorgono di questa cosa, il mondo rap accetta qualche proposta e Fedez fonda una sua etichetta discografica perchè i video fanno milioni di visualizzazioni così diventa giudici a x-factor e vedi te, come diavolo hai cambiato la tua vita. Quello che è sempre mancato alla scena hip hop è capire il beneficio di trovarsi artisti non troppo apprezzati in cima alle classifiche. Cascando giù, nei motori di ricerca, chiunque ha beneficiato di questa cosa. Qualcuno ancora si arrabbia, ma ora in molti hanno accettato il fatto e da qualche illustre esponente ho letto anche scuse e possibilità di collaborazione. Insomma, tutto sta cambiando.

Se non riesci a inquadrare il tuo nemico mentre il mondo ti sta girando le spalle, prova a comprarlo o almeno fai qualcosa per non farti ostacolare. Le case discografiche giganti falliscono, alcune si riescono a inventare nuove soluzioni ma le boy-band non vanno più di moda e i talent show iniziano a essere vinti da gruppi musicali che ok, possono non piacere, ma suonano bene e portano canzoni proprie pure in Inglese (The Kolors, Urban Stranger&altri casi). Edoardo D’Erme è un tipo veramente particolare. Ha girato tutta l’Italia con la chitarra in mano per farsi offrire da bere e ottenere un divano comodo da qualche conoscente. Ha scritto delle canzoni che ascoltavano in 32 ora invece è Disco D’Oro. Edoardo D’Erme in arte Calcutta, esce sul finire del 2015 con un disco molto semplice, quasi essenziale. Sensibile e malinconico, cantato e razionale. Mainstream (provocazione, comunicazione o realtà) crea un ponte concreto che si stava sviluppando da qualche tempo prima con ben altri protagonisti fra gli artisti main e quelli indie. Il tipo che abita nel pianerottolo davanti a me ascolta Ligabue, ha tutte le sciarpe di Ligabue però non c’è una volta che non lo sento cantare Frosinone dopo Urlando contro il cielo. Bomba Dischi e Calcutta costruiscono il successo senza particolari forzature ma con mosse sincere e ben calibrate. Le persone vogliono cantare ai concerti. Le persone vogliono gridare per stare meglio. Le persone ascoltano la radio in maniera passiva ma vogliono canticchiare mentre lavorano. Da tutto questo esce un’estetica pop che porta Luca Carboni a mettersi il giubbotti di pelle nero, fare un video come quello di Calcutta, andare ai concerti e ritrovarsi a scrivere una canzone dal titolo uguale “Milano” ma con due visioni diverse. Internet + giornali + concerti sold out + dischi finiti + dischi deluxe finiti + vinili finiti + avete idea di quanto si possa riuscire a scopare facendo un successo del genere da 2 a 1000 in meno di due anni? Una delle cose che più mi ha colpito della case history Calcuttiana sta in una vecchia intervista dove Edoardo sottolinea come “non fosse colpito dalle ansie della propria generazione ma dalle proprie“. Una sotto traccia interessante di quanto stia accadendo soprattutto a molti ragazzi che quasi per scherzo si ritrovano a diventare colonna sonora per migliaia di persone: selfie, saluta quando fai una foto, ringrazia sempre, se ti tira il culo però non puoi rivoltarti a coloro che ti hanno chiesto una foto, altrimenti le foto non le fai più. La posizione è delicata, comprensibile e non banale. L’attitudine da idolo generazionale non tutti possono averla e in molti ci raccontano di come questi non siano problemi enormi e in effetti non lo sono, però sono sintomatici di come il ponte che lega un pubblico generalista ad artisti nati indipendenti può diventare un uragano pieno di emozioni per quanto vasto e gigante. Ultimamente chi riesce a essere personaggio apprezzato e condiviso da entrambe le frontiere è Tommaso Paradiso, leader di un gruppo i Thegiornalisti in grado di riempire ogni club, ogni radio, ogni spazio, ogni momento di spazio disponibile. Totalizzante è il modo con cui stanno arrivando a chiunque, con canzoni romantiche e dichiaratamente pop senza farsi grandi problemi di target, critica o altre cazzate. Con l’ultimo disco hanno affermato come fare musica per le grandi masse possa essere una prerogativa di un progetto nato indipendente. Tra qualche anno ci saranno stadi, ospitate nei salotti televisivi generalisti e in fondo lamentarsi e rosicare è solamente un pessimo esercizi di stile. Il successo e il trasporto che vivono questi progetti musicali fa bene a tutto il movimento e fare l’occhiolino a chi ha sempre snobbato un certo modo di progettare, realizzare e vivere la musica non è una perdita di valore o identità ma una semplice e necessaria evoluzione. Arrendiamoci le discoteche ormai si stanno svuotando, le persone comprano i biglietti online per ascoltare in concerto Calcutta e i Thegiornalisti. Questo è un male? No. Questo è giusto? Sì. Lunga vita.

Come ogni grande partito esistono le correnti. C’è quella che proprio non vuole astenersi dal criticare. È comprensibile, non si può negare e forse fa anche bene per poter trovare sempre nuovi spunti e non concludere questo quadro generale come buonista e semplice. Recentemente uno dei maggiori esponenti della scena trap italiana (ma credo non solo) ha snobbato buona parte della passata scena hip hop dicendo che “purtroppo non conosco e non ho mai ascoltato i Sangue Misto”. Nella sfera più integralista è nato un piccolo caso e le riflessioni da fare sarebbero molteplici perchè potrebbero partire dall’età del protagonista, passando per una sua mancanza grave e arrivando a capire che alla fine è comprensibile la mancanza di alcuni capi saldi, soprattutto se la tua interpretazione del genere si discosta non poco da quella originale (di 20 anni prima). Insomma è necessario avere i fondamentali dell’indie rock per fare indie rock? È necessario capire le grandi canzoni per poterne scrivere? In tutto questo non è mia intenzione dare un giudizio riguardo la notizia ma porre l’attenzione su come le fonti e il proprio background sono un tema molto personale. Non tutti i grandi scrittori hanno preso ispirazione da libri, forse da film o da canzoni. Non tutti i grandi musicisti hanno preso ispirazione da dischi, forse da libri o da film. E così via. Quindi non viene scusato nessuno ma è sintomatico come l’effettiva mancanza di archivio possa diventare un problema per molti degli artisti che vengono dall’underground – poi, chiamare underground chi vende milioni di copie mi sembra ridicolo ma in un certo senso è così.

No. I dischi non si vendono. Ai concerti qualcuno si muove. Però tolto chi ha fatto del proprio movimento un vero e proprio lavoro (buona parte degli artisti citati sopra) per il resto manca curiosità. 10 anni fa la battaglia era molto più appassionante. Si ascoltava su internet, si andava nei club e si compravano i dischi. Ora si ascolta su internet. Basta. Si ascolta su internet. Fine. La possibilità di emergere in questo imbuto di successo legato da un ponte che arriva fino a un pubblico generalista chiude molti varchi, aumenta il prezzo degli uffici stampa e rende le webzine troppo spesso vittima del click-baiting (soprattutto le webzine che sono nate recentemente, quelle che vanno di moda boh) e iniziano a emergere progetti creati a tavolino. Talvolta privi di sincerità. Ma questo forse è già un giudizio personale probabilmente inutile al fine di una discussione ben complessa, dove il campo di battaglia è cambiato e per certi versi si può dire essere inclinato anche nel sistema indipendente. Forse è meritocrazia, forse no. Eppure resta forte la sensazione di come per uscire dalla propria stanza grazie all’internet siano disposti più o meno tutti. Basti pensare alla quantità di sponsorizzazioni e social media manager (presunti o tali) assunti da realtà piccole, per il desiderio di uscire dal club con 30 persone ma portandone almeno 60. È una cosa comprensibile, lecita e che in un certo senso porta un valore aggiunto al successo di alcuni gruppi/progetti musicali. Nel complesso di seguito c’è una lunga intervista con alcuni grandi esponenti che parlano del mercato discografico nell’era digitale. Bandcamp, soundcloud, freedownload ma anche nuovi modi di interpretare i supporti fisici (vinili, cassette, cd con packaging creativi) sono soluzioni in grado di lasciare qualcosa all’ascoltatore. Quello adesso diventa l’obbiettivo principale, fidelizzare la persona nel mare di informazioni che vengono recepite.

È forse una visione personale, magari parziale di quelli che sono stati gli ultimi 10 anni della musica indipendente e di una cultura undeground in Italia. Eppure il festival MI AMI è diventato l’appuntamento a cui proprio nessuno può mancare, le radio sono piene di canzoni non proprio tradizionali e sì, magari 20 anni fa era la stessa identica cosa: qualcuno emergeva e andava in radio, riempiva i concerti eccetera eccetera. Eppure lo stato di quest’evoluzione è stato vissuto in prima persona da me e chi ha avuto la fortuna di farne un lavoro della propria passione oppure semplicemente ha trovato altre strade ma guarda a questo percorso con soddisfazione o amarezza. Le sensazione più comune è che senza internet non sarebbe successo nulla di tutto ciò eppure credo che il campo di battaglia citato all’inizio avrebbe avuto una profonda analisi diversa e soluzioni alternative in qualche modo sarebbero saltate fuori. Non è una questione di mezzi ma di modi e ricerca. Quest’ultimo è stato l’aspetto fondamentale per portare al successo un progetto musicale e ribaltare quella concezione per cui andare in discoteca ad ascoltare il deejay in copertina su vanity fair sia più cool che andare all’Alcatraz a fare un completamente sold out. Storcerà il naso forse per proprio orgoglio chi fin dal giorno zero ha creduto in questa missione e ora vede la perdita di certi valori, ma in fondo quell’amico mio (o conoscente ora non ricordo nemmeno dopo 25.000 battute) ha sempre avuto ragione. Prima o poi ci arrivano tutti, e non è un discorso di comprensione ma di possibilità. E aggiungo io, una volta arrivati ne fanno parte proprio come me e te, proprio come i ragazzi di The Breakfast Jumpers e tante altre realtà ancora oggi alla ricerca del dettaglio nei dischi registrati in casa, con un progetto lo-fi e particolarità che si possono notare solo con una certa sensibile curiosità. Questo mondo è cambiato e cambierà tantissimo nei prossimi due mesi, anzi ogni giorno. Il cambiamento è naturale percorso delle persone, sta nell’individuo saperlo cogliere e assimilare, quindi la cultura mainstream o underground che sia non è una battaglia come da me è stata definita ma una interpretazione più o meno personale e alla fine chi beneficia da tutto questo sono proprio le persone e qualche volta le loro ambizioni.

Non è un manifesto elettorale o politico. Non è voglia di guardare al futuro con ottimismo ma ritenere il recente passato come qualcosa per cui si è contribuito a stare meglio adesso, che sia un semplice ascolto, pensiero, disco, recensione o concerto vissuto. È bello vedere certe cose, magari non apprezzarle, ma notarne il percorso per cui sono arrivate ed è riduttivo appellarsi a teorie complottiste o altri sotterfugi. Non va tutto male, non va tutto bene, va così e non bisogna dire basta ma semplicemente essere contenti perchè l’altro giorno hai portato una persona a scoprire qualcosa che non conosceva. Prima storceva il naso, poi è stata bene. Conserva quello che gli hai fatto scoprire tu come una cosa propria ma che ha potuto condividere con te e magari ha pure provato qualche emozione. Si è seduta sul letto e ha deciso di fare un disco da mettere in macchina, questo disco in macchina è stato ascoltato da altre persone che hanno apprezzato e il campo di battaglia è cambiato, il ponte è solidificato e il rapporto tra la cultura underground e quella mainstream si è cimentato come uno sguardo di notte al buio. Un giorno faranno l’amore, magari l’hanno già fatto. Sicuramente sono stati benissimo e presto condivideranno altre cose per cui esser soddisfatti anche se la canzone che ancora passa in macchina non ti piace, ma viene dal tuo mondo e ora fa parte del suo. Così si salvano la vita, si raccontano le storie. Così, in questi 10 anni della mia vita – come quella di altri – ho visto cambiare tutto, tanto prima o poi ci arrivano tutti.


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