Non è facile scrivere di musica. Penso sia davvero più difficile di tanti altri esercizi. Però ci proviamo, sperando di non annoiare il lettore, anche perché in poche righe bisogna farsi le domande giuste e provare a dare qualche risposta. Qualche anno fa ho scoperto che la musica non si fermava agli strumenti suonati col sudore nelle sale prove. Mi avvicinai a tutto un movimento, che non era prettamente club ma restava nel limbo fra ascolto/ballo – live/dj set. All’inizio in molti vendevano tutto questo come live set e si piazzavano in festival o serate in orari non proprio centrali. Synth, computer, consolle e con il passare del tempo anche strumenti musicali e band vere e proprie. L’idea di questa scena musicale stava prendendo sempre più pubblico locale dopo locale; io nel mio piccolo mi impegnavo per portare nella mia città questi artisti che su internet iniziavano ad essere approcciati da piccole etichette e webzine. Si stampavano dischi, poster, merchandising e così via. Serata dopo serata il pubblico cresceva e si era creato quello spirito veramente indipendente reale, dove il contenitore era più importante del protagonista. “Oggi andiamo lì che suona qualcuno di fico” si diceva a Bologna, come in altre città e locali. Non stiamo parlando della nevrosi da sold-out contemporanea, ma quelle 150-200 persone si muovevano sempre e lo facevano per curiosità e perchè no, per moda. Questa nuova scena elettronica sembrava aver dato una nuova linfa a tutto il sistema musicale, magari non alle grandi major, ma a chi, con totale indipendenza, portava avanti certe idee.
Godblesscomputers è sicuramente uno dei primi amori musicali e con il tempo ha affinato non poco la sua idea di live, lavorando dettaglio dopo dettaglio, in una crescita organica e graduale. Poi la White Forest Records era la fucina della New Wave Italiana per eccellenza, ogni disco, traccia o compilation aveva sempre qualcosa di interessante da ascoltare e guardare per il modo in cui venivano comunicate le release. Go Dugong faceva del suo live un vero e proprio show, chiamarlo a suonare non era solamente un piacere, ma un grande spettacolo. I più introversi e sensibili Stèv e Yakamoto Kotzuga sapevano trovare delle chiavi difficilmente spiegabili nel modo in cui sanno approcciarsi alla musica. E poi tanti altri come Bienoise, Machweo e Lamusa per citarne alcuni, perfezionisti ed emotivi nel produrre. Senza dimenticare tutto quello che veniva partorito da una città come Bologna, After Crash, Apes on Tapes, Osc2x e molti altri. Insomma ho scritto i primi nomi qua sopra, forse con ingenuità e in modo personale, ma questo non è il tema principale.
Molti hanno deciso di provare la strada in Italiano, altri mantengono il loro profilo e alcuni sono diventati produttori per artisti di vario genere. Insomma quella fucina immensa di new wave, ha dato una spinta moderna non indifferente al boom attuale dei live club, spesso obbligati a riempire per non soffrire economicamente l’eccesso di spese. Sembrava il minimo prendersi qualche momento per fare questa riflessione, visto che spesso ho usato il passato citando tutto questo movimento, non perché sia morto ma sicuramente non ha avuto quello che si meritava. Non solo a livello economico ma soprattutto percettivo, poi è risaputo e banale a dirsi, ma tutto è ciclico ok, però non si sa se capiteranno ancora protagonisti del genere. Un genere che ci piace chiamare it new wave, che qui sotto abbiamo provato a farlo suonare così, dove sicuramente manca qualcuno ma soprattutto è stata una grande palestra per chi produce dischi, concerti e vive con curiosità il concetto di auto produzione e indipendenza musicale.
Sono passati due anni. Quasi due anni facciamo. Stava per terminare il 2014 e da una casetta di Via Santo Stefano, nel centro storico di Bologna prendeva vita il primo disco di Osc2x. Sì perchè è stato il lavoro di una vera e propria adolescenza quello di Vittorio; prima le esperienze nei gruppi punk, poi tra una sala prove e qualche concerto, la consapevolezza che quello sfogo notturno nato in una stanza di Via Andrea Costa potesse diventare qualcosa in più. Fin da subito c’è stato Luca (che per noi è Jean Luc) alla batteria, perchè in fondo è il migliore su questa terra a farlo ma soprattutto perchè è sempre stato al fianco di Vittorio nelle precedenti esperienze musicali. Da Via Andrea Costa a Santo Stefano, uscendo dal grembo materno e cantando di quello che passa per la testa di un ragazzo attraverso le gioie e i dolori dell’adolescenza. Canzoni divertenti con un lato emotivo, ballabili, migliorabili però sincere, autentiche. Un lavoro durato cinque anni, passato davanti a una potente scrematura (sì, voleva fare il doppio disco con 30 brani) e che ha preso forma come se fossimo diventati tutti dei grandi professionisti. È arrivato il tour, un sacco di concerti, poi la televisione, sicuramente molti di voi ma alla fine dei conti, noi siam sempre questi e in attesa del prossimo imminente capitolo (un disco post-adolescenziale è qualcosa di tremendamente difficile da gestire) e visto il compleanno del nostro collettivo di persone ci sembra il minimo potervelo regalare, per qualche ora, forse per qualche giorno. Sicuramente dietro c’è un lavoro che non potete capire ma soprattutto ci sono storie che facciamo fatica a raccontare.